Il progetto Starcrash nacque nella stagione 2018-2019 con una serie di serate di incontro/scontro tra scienza e fantascienza: i relatori – due critici cinematografici e un ingegnere aerospaziale – passarono in rassegna tutti i temi classici della fantascienza (l’esplorazione spaziale, il viaggio nel tempo, il teletrasporto, le civiltà extraterrestri, l’ingegneria genetica, i robot e l’IA, l’apocalisse) usando film, serie tv e le scoperte scientifiche.
Durante la scorsa stagione (2019-2020), soddisfatti del primo esperimento, decidemmo di proseguire rinnovandoci: l’idea era di farci raccontare da chi vive il mondo della ricerca e della scienza il lavoro quotidiano e le prospettive sulle nuove frontiere della scienza dove il confine con la fantascienza sembra farsi più labile. La nostra intenzione non era fare solo della buona divulgazione di contenuti, ma anche di far conoscere al pubblico quali siano i metodi e il linguaggio della scienza per poter affrontare la complessità della realtà e, allo stesso tempo, invitarlo a usare gli strumenti della fantascienza per ripensare il nostro mondo e, soprattutto, il nostro futuro.
Questa prospettiva è stata esplicitata in quello che può essere considerato il manifesto del progetto Starcrash, pubblicato sul numero 0 della nostra newsletter. Già, perché il lockdown della scorsa primavera ha interrotto il nostro calendario di eventi costringendoci a reinventarci: lì è nata la newsletter che state leggendo in questo momento.
Tra uno sporadico episodio e l’altro della newsletter, in autunno abbiamo deciso di riproporre le chiacchierate lasciate in sospeso a febbraio, questa volta in formato telematico. Lo scopo era lo stesso: lasciar parlare chi la scienza la fa ogni giorno con rigore, dedizione e creatività, raccontando le nuove scoperte e le prospettive future.
Dopo un anno in compagnia del Covid-19 - e di tutto il carrozzone di mostri mediatici che si è portato dietro - ci sembra ancora più rilevante uno dei capisaldi del nostro progetto cioè che la scienza è politica. E così come la scienza anche la divulgazione scientifica (quella fatta bene) è politica.
Come scrivevamo nel primo numero della newsletter sia la scienza che la divulgazione sono attività eminentemente democratiche, nel senso di essenziali in una società democratica. Dove vige la libera espressione e il libero confronto è fondamentale essere in grado di far ricorso al ragionamento critico e ad un atteggiamento empirico legato ai fatti, che costituiscono le basi del pensiero scientifico, per poter persuadere e convincere, senza cadere preda di fondamentalismi e complottismi. Inoltre, è assolutamente imprescindibile nella complessità della società contemporanea, non solo padroneggiare gli strumenti di base della scienza, ma anche conoscere, almeno in linea generale, lo stato dell’arte delle scoperte e di ciò che oggi noi possiamo affermare essere vero (ma per il futuro chissà!). Insomma, per poter orientarsi e scegliere le alternative migliori, per non restare prigionieri di rappresentazioni false e parziali, per poter dare a tutti i cittadini le stesse possibilità, è necessaria la divulgazione scientifica.
Quindi, possiamo affermare con certezza che impegnarsi nel divulgare la scienza significa farsi carico di un compito sostanzialmente politico: significa volersi impegnare per una società migliore, più giusta, più equa, più aperta.
E non solo la divulgazione, anche la scienza è un’attività politica: sia per l’impatto che le sue scoperte e affermazioni hanno sull’intera società (le misure adottate dai governi in quest’anno di pandemia sulla base dei dati epidemiologici sono un caso palese), sia, soprattutto, per il fatto di essere un’attività profondamente sociale che coinvolge migliaia di ricercatori, impegnati nell’approfondire la conoscenza della realtà.
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