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Fosse Ardeatine
La storia di Renzo Giorgini

Fra le 335 vittime delle Fosse Ardeatine sepolto nella tomba n.28 c’è anche Renzo Giorgini, il mio bisnonno.
La sua storia mi è arrivata dal racconto, allo stesso tempo fermo e commosso, di Eutilia Giorgini, sua figlia e mia nonna che fu l’ultima a vederlo il giorno del suo arresto.

È a lui che ho dedicato la canzone ROMA OCCUPATA che riporta gli ultimi nove giorni della sua vita.

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La mattina del 16 marzo 1944, nella Zincografia Giorgini a via Ripetta, si presentò un gruppo di S.S. accompagnate dall’operaio della ditta che era stato costretto a confessare e che doveva testimoniare per effettuare l’arresto.

Renzo era un personaggio ben conosciuto dalle forze dell’ordine fasciste a causa della sua militanza politica e sindacale. Già nel 1928 era stato arrestato e mandato al confino. Inoltre, nella zincografia Giorgini, veniva stampato un foglio clandestino di resistenza. Quel giorno Renzo venne prelevato e portato via dalle S.S. sotto lo sguardo terrorizzato di Eutilia, la figlia.

Ci sono dei dettagli che restano impressi nella mente. Insignificanti, forse, ma che permettono di inserire nuovi piccoli tasselli nel gigantesco puzzle che è la storia di Roma di quei giorni. E per noi che non abbiamo vissuto quel periodo diventano un modo importante per colorare un’immagine che altrimenti resterebbe in bianco e nero.

Il racconto dell’arresto è accompagnato, infatti, dal rumore degli stivali dei militari che rimbombano per la bellissima via Ripetta, brulicante di vita, e che si ingigantiscono nel ricordo fino a diventare un rumore assordante.
Mia nonna Eutilia, uscita per una commissione, assiste all’arrivo delle S.S. che entrano nella zincografia dalla strada.
Renzo non poteva scappare. Aveva quasi 57 anni ma soprattutto aveva perduto la gamba sinistra in un incidente e, per camminare, aveva bisogno di un bastone.
Viene prelevato rapidamente dalla zincografia: viene visto uscire con il basco e il grembiule, i suoi indumenti di lavoro, e portato nella prigione di Via Tasso.

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La prigione di Via Tasso a Roma era tristemente conosciuta. Era uno dei luoghi più temuti della città tanto che i romani nemmeno ne pronunciavano il nome. “Là, a San Giovanni”, si diceva.
Era in mano alle SS della Gestapo e nessun fascista in divisa vi era mai entrato.
L’edificio era stato affittato dal proprietario (il principe Ruspoli) all’ambasciata tedesca e in quel periodo gestita dal tenente colonnello Herbert Kappler, il capo delle SS di tutto il Lazio.
Le celle dei detenuti erano sistemate nelle camere degli appartamentini che si affacciavano a 2 a 2 sui vari pianerottoli e davano tutte su di un grande ingresso centrale. Ogni alloggio comprendeva 1 camera più grande, nella quale erano rinchiusi fino a 12 o 14 prigionieri, 2 più piccole, una cucina e un sgabuzzino cieco (largo 1,30 metri), che fungeva da tetra cella di isolamento.

Per impedire che qualsiasi forma di messaggio potesse uscire dal carcere, le finestre erano state murate e la luce del giorno non filtrava.

In una di quelle celle venne torturato Renzo Giorgini. Ovviamente di quei 9 giorni a via Tasso non si hanno testimonianze se non quella del “Medico di via Tasso”, un farmacista che venne preso dai tedeschi e obbligato a medicare i carcerati. Egli racconta di aver incontrato, fra gli altri, anche Renzo reso cieco dalle torture.

Dopo l’attentato a via Rasella la situazione precipita e in 24 ore, con una precisione e organizzazione invidiabili, i nazisti raccolgono 10 uomini per ogni tedesco ucciso, li portano alle cave Ardeatine e li fucilano con un colpo alla nuca. 335 uomini: cinque in più del macabro calcolo voluto da Hitler.

L’accesso alle cave viene fatto esplodere con della dinamite e verrà liberato in estate con l’arrivo degli americani. Già dal giorno dopo in città appaiono dei cartelloni che annunciano l’avvenuta ritorsione e recitano: “L’ordine è già stato eseguito”.

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