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28 aprile 2021

Mediorientale

La newsletter sul Medio Oriente a cura di Francesca Gnetti

Violenza a Gerusalemme Dall’inizio del Ramadan a metà aprile, Gerusalemme è stata teatro di una nuova ondata di violenze e di scontri. Tutto è cominciato quando la polizia israeliana ha vietato ai palestinesi di sostare nella piazza della porta di Damasco, popolare luogo d’incontro durante il mese sacro. La decisione ha scatenato le proteste dei palestinesi, represse con violenza dalle forze dell’ordine israeliane. In questo clima teso, il 22 aprile il movimento ebraico d’estrema destra e antiarabo Lehava ha organizzato una manifestazione in cui sono stati intonati canti come “morte agli arabi”, dopo che erano stati diffusi su TikTok dei video che mostravano alcuni palestinesi attaccare ebrei ultraortodossi in città.

Negli scontri che hanno segnato una delle notti più violente vissute a Gerusalemme negli ultimi anni, 105 palestinesi sono rimasti feriti e circa cinquanta tra palestinesi e israeliani sono stati arrestati. La sera del 25 aprile la polizia ha reso di nuovo accessibile l’area intorno alla porta di Damasco, ma – come già successo in passato – la violenza si è diffusa nella Striscia di Gaza, dove sono stati lanciati dei razzi verso il sud d’Israele, scatenando la reazione dell’esercito.

Le violenze di Gerusalemme hanno sollevato molti allarmi sulla stampa israeliana, regionale e internazionale a proposito dell’affermazione e della legittimazione di un movimento di estrema destra, violento e razzista, in Israele.

  • In un articolo su Haaretz, Gideon Levy, che già aveva parlato dell’ingresso dei fascisti in parlamento, sottolinea come il successo dei partiti di estrema destra alle elezioni del 23 marzo abbia spianato la strada a “un movimento neonazista” di cui gli “ultraortodossi sono le riserve”, riferendosi alla partecipazione di alcuni esponenti di questa comunità alla manifestazione del 22 aprile.
  • Di “zona di guerra” parla la giornalista e attivista Orly Noy in un articolo sul sito israeliano +972 Magazine in cui racconta cosa è successo.
  • In un approfondimento su Gerusalemme “la città indomabile”, Quds News Network ripercorre “mezzo secolo di resistenza” della “capitale della disobbedienza”.
  • Sulla pagina Twitter di Quds News Network si possono vedere molti contributi: video di scontri, arresti, proteste, i festeggiamenti per la rimozione delle barriere e la solidarietà a Gaza. E poi un video della manifestazione degli estremisti.
  • In un rapporto pubblicato il 27 aprile 2021, l’ong Human rights watch denuncia che Israele sta commettendo “crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione” nei confronti degli arabi nei Territori occupati e in Israele.

Attualità

Il funerale di una vittima dell’incendio all’ospedale di Baghdad, 25 aprile 2021 (Thaier Al-Sudani, Reuters/Contrasto)

Iraq Più di ottanta persone sono morte il 25 aprile nell’incendio di un ospedale destinato ai pazienti di covid-19 a Baghdad. Secondo le ricostruzioni, l’incendio è scoppiato in un reparto di terapia intensiva a causa dell’esplosione di una bombola di ossigeno. Diversi testimoni hanno raccontato che le operazioni di soccorso sono state lente e caotiche. Il premier Mustafa al Kadhimi ha sospeso il ministro della salute e ha ordinato l’apertura di un’indagine. Diversi mezzi d’informazione hanno sottolineato che dietro la tragedia ci sono i “decenni di negligenza” di cui soffre il sistema sanitario del paese.

Iran La cittadina britannica iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe il 26 aprile è stata condannata a un altro anno di carcere più un anno di divieto d’espatrio perché ritenuta colpevole di propaganda contro il regime. È stata accusata di aver partecipato a una protesta davanti all’ambasciata iraniana di Londra dodici anni fa e di aver parlato alla Bbc Persian. A marzo Zaghari-Ratcliffe ha finito di scontare una pena detentiva di cinque anni. Il marito ha confermato che non è ancora stata portata in carcere e che farà appello contro la sentenza.

Siria-Israele L’esercito israeliano ha annunciato il 22 aprile di aver condotto alcuni raid sulla Siria dopo che un missile terra-aria è caduto nel deserto del Negev, nel sud d’Israele, vicino alla centrale nucleare segreta di Dimona. Secondo l’ong Osservatorio siriano dei diritti umani, le forze israeliane hanno distrutto alcune batterie di difesa antiaerea a Dmeir, 40 chilometri a nordest di Damasco, località da cui sarebbe partito il missile e che ospita anche dei depositi di armi delle milizie filoiraniane.

Siria Gli stati che fanno parte dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) hanno votato il 21 aprile a favore della sospensione dei diritti della Siria per il suo presunto uso di armi chimiche, una decisione senza precedenti nella storia dell’organismo di vigilanza. Sostenuta dai paesi occidentali, tra cui Francia, Regno Unito e Stati Uniti, la mozione ha ottenuto la maggioranza dei due terzi dei voti. Si sono opposti quindici paesi, tra cui Russia, Cina e Iran.

Kuwait Il 20 aprile Farah Hamza Akbar è stata rapita e uccisa da un uomo contro cui aveva sporto denuncia per molestie e che era stato arrestato e in seguito liberato su cauzione. L’uomo è ora in stato di arresto e ha confessato. L’omicidio ha sollevato un’ondata di sdegno sui social network, con molti interventi a favore della revisione del codice penale del paese e di pene più dure per i responsabili di crimini contro le donne. A febbraio in Kuwait si era diffusa una campagna contro le molestie sessuali e le violenze sulle donne.

Diritti Il Medio Oriente e il Nord Africa dominano la classifica dei paesi che eseguono più condanne a morte ed esecuzioni. Lo denuncia il rapporto di Amnesty international sulla pena di morte nel 2020, pubblicato il 21 aprile. Anche se evidenzia una tendenza globale verso la diminuzione dell’uso della pena capitale, il rapporto sottolinea che alcuni stati hanno uguagliato se non aumentato il numero delle esecuzioni. In particolare, l’Egitto ha triplicato le esecuzioni rispetto al 2019 e con almeno 107 è al terzo posto, dietro a Cina e Iran (246 esecuzioni) e davanti a Iraq (almeno 45) e Arabia Saudita (almeno 27).

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Femminismi

No è no, anche in Iran
Ad agosto del 2020 molti osservatori hanno salutato con favore l’arrivo del movimento #MeToo in Iran, quando la pubblicazione di un video in cui alcune giornaliste raccontavano di essere state molestate dai loro colleghi ha spinto molte iraniane a denunciare sui social network le violenze subite. E anche a fare i nomi dei loro aggressori. Tra questi ci sono il famoso musicista Mohsen Namjoo e l’artista Aydin Aghdashloo. Ma nonostante le promesse delle autorità, non è stato fatto nulla e il movimento ha perso slancio.

La questione è tornata di attualità il 17 aprile, quando è trapelato un audio in cui Namjoo insulta le donne che l’hanno accusato e sostiene che “no non significa no”. Da anni alcune voci in Iran reclamano la necessità di un vero dibattito sul maschilismo e la violenza di genere insiti nella società. Tra queste c’è la scrittrice Mahsa Mohebali, che nel suo romanzo Tehran Girl (pubblicato da Bompiani nel 2020 e tradotto da Giacomo Longhi) racconta il punto di vista di una giovane alle prese con abusi sul lavoro, stereotipi e pregiudizi di genere.

L’attenzione di oggi è anche il risultato di anni di lavoro sul terreno da parte delle attiviste per la difesa dei diritti delle donne, che si sono sempre battute per essere riconosciute nella società e per eliminare le leggi discriminatorie nei loro confronti. In un articolo sulla New York Review of Books, la scrittrice Roya Hakakian racconta la nuova ondata di disobbedienza civile che denuncia come la rivoluzione islamica abbia usato l’hijab obbligatorio per radicare il suo potere sottomettendo le donne. Un video pubblicato su RadioFreeEurope/RadioLiberty mostra le molestie che le donne di Mashhad, una città nel nordest dell’Iran, subiscono per strada.

Focus

Jewad Selim, The siesta, 1950 circa. Mathaf, Arab Museum of Modern Art.

Il mito dei gatti nel mondo arabo
Le strade di molte città del Medio Oriente, dal Cairo a Istanbul a Damasco, sono popolate da gatti. Ed è facile vederli aggirarsi anche dentro le moschee e “non solo perché tengono a bada i topi”, come nota Lorraine Chittock nel suo libro Cats of Cairo. I gatti sono tenuti in grande considerazione tra i musulmani e nel Corano ci sono molti riferimenti a questi animali. Inoltre secondo la tradizione il profeta Maometto era un amante dei gatti e ne aveva uno chiamato Muezza, che lo salvò dal morso di un serpente. Si narra che un giorno trovandolo addormentato sulla manica di una sua veste, preferì tagliarla per non doverlo svegliare e in seguito la ricucì. Uno dei suoi più fedeli compagni si chiamava Abu Hurayra, che si può tradurre come “padre della gattina” per la sua abitudine di portare sempre con sé la sua gatta e di dare da mangiare a tutti i randagi intorno alla sua moschea. Un hadith (un racconto della vita del profeta) recita: “L’affetto per i gatti fa parte della fede”.

Nell’antico Egitto i gatti erano riveriti e deificati. La dea Bastet, simbolo di bellezza e fertilità, era raffigurata con la testa da gatto e nel suo tempio sul delta nel Nilo si rivolgevano speciali preghiere a questi animali. Inoltre si organizzavano pomposi funerali per i felini deceduti e alcuni erano mummificati e adagiati in sarcofagi. Negli anni ottanta del novecento nell’antica Bubasti, l’odierna Tell Basta, furono scoperte trecentomila mummie di gatti e tra i reperti ritrovati nel 2018 a Saqqara, a sud del Cairo, ci sono tre tombe destinate ai gatti. La storia riferisce di sovrani e potenti amanti dei gatti, tra cui il sultano mamelucco Al Zahir Baybars, che nel tredicesimo secolo creò al Cairo un “giardino per gatti” per accogliere e rifocillare i randagi della città. Nur al Din, che regnò sulla Siria nel dodicesimo secolo, diede vita a una fondazione per gatti ciechi.

I gatti sono citati nella letteratura, nei miti e nell’arte islamica. Vari detti popolari li hanno come protagonisti, tra cui: “come un gatto, mangia e dimentica”, oppure “parli del gatto e arriva saltellando”. Migliaia di storie sufi (la corrente più spirituale dell’islam) riguardano i felini, così come leggende, canzoni e poesie. Il poeta Ibn al Allaf, vissuto a Baghdad tra il 300 e il 900, dedicò un’elegia al suo gatto, ucciso dai vicini dopo aver mangiato uno dei loro piccioni. Il protagonista della canzone per bambini Thahab al Laylo, del compositore egiziano Mohamed Fawzi, viene graffiato da un gatto perché ha disobbedito alla madre. I pittori e i calligrafi musulmani usavano pennelli fabbricati con il pelo di felini appositamente allevati per questo scopo. I gatti sono raffigurati anche in molte importanti opere di artisti moderni del mondo arabo, come dimostra questa selezione presentata sul sito libanese Raseef22, che offre una panoramica di diversi artisti, paesi ed epoche storiche.

Consigli

Da vedere #letstalkperiod (parliamo di mestruazioni) è un video di cinque minuti pubblicato dall’iniziativa della società civile libanese Basecamp, nata all’indomani dell’esplosione del 4 agosto 2020 al porto di Beirut. Messo online il 14 aprile sulla pagina Instagram del gruppo, nell’ambito della campagna Basecamp goes pink (Basecamp diventa rosa), il video (in arabo, inglese e francese, sottotitolato in inglese) ha avuto più di diecimila visualizzazioni in ventiquattr’ore. A partire dal loro vissuto personale e dalla loro esperienza professionale, otto libanesi di varie età e impegnate in diversi settori parlano del ciclo in modo ironico e diretto per sensibilizzare l’opinione pubblica su una questione tanto naturale quanto difficile da affrontare. Come si legge nella presentazione del video: “È ora di rompere il tabù normalizzando un argomento che le donne hanno vissuto come uno stigma nella storia e nella nostra cultura”.

Da leggere I gatti perduti di Homs, di Eva Nour, è uscito per le edizioni Piemme, con la traduzione di Gloria Pastorino. Racconta la storia di Sami, un giovane che fa di tutto per mantenere vivo il sogno di una casa, nonostante una devastazione inimmaginabile. Un romanzo basato su una storia vera, che è anche un viaggio nella dissidenza, nella ribellione e nell’esilio. Eva Nour è lo pseudonimo di un’autrice svedese e il suo libro è stato un piccolo caso editoriale in Svezia. Il protagonista della storia è il suo compagno nella vita.

Da ascoltare Environment in Context è una serie di podcast pubblicata su Jadaliyya (un sito indipendente legato all’Arab studies institute) per approfondire le questioni ambientali in Medio Oriente, usando punti di vista, prospettive e fonti diverse dalla narrazione convenzionale, dominata da un approccio occidentale.

Questa settimana su Internazionale

Sul sito Zuhair al Jezairy sulla nuova ondata di attacchi delle milizie filo-iraniane contro la presenza di Stati Uniti e Turchia in Iraq e sulla mediazione di Baghdad nei conflitti regionali.

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