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Un progetto di Francesco Oggiano | Archivio | Browser

Ccciao!
Come i veterani di questa newsletter già sanno, cerco di evitare puntate troppo «sindacali». Solo perché c’è già chi lo fa molto meglio di me, e perché penso che su questa newsletter sia piuttosto inutile. Questa volta però in vista del primo maggio mi ha scritto Samuele Maccolini, collega di Torcha, Il Foglio e Linkiesta.

10 cose imparate intervistando giornalisti precari

Per la sua tesi magistrale Samuele ha intervistato un bel po’ di giornalisti precari in giro per l’Italia. E qui, just for you, ha messo in fila un po’ di cose interessanti.

1) Per farcela ci vogliono fino a 7 anni
Stando all’esperienza personale degli intervistati, prima di diventare indipendenti a livello economico bisogna superare una gavetta che va dai 2 ai 7 anni. 

2) 6 su 10 sono freelance
I giornalisti freelance in Italia sono circa il 65% del totale.

3) E non sono ricchi
Nel 2017 8 freelance su dieci dichiaravano redditi inferiori a 10 mila euro l'anno
4) Potrebbero essere chiamati con un nome figo: bourgeois bohemians
È la formula con cui alcuni accademici definiscono la nuova classe creativa, formata da persone appassionate cresciute in un contesto economico e culturale che ha foraggiato le proprie ambizioni. Luca Ricolfi dice siamo choosy, non vogliamo lavorare. Cerchiamo il lavoro che possa realizzarci e nel mentre: false partite iva e collaborazioni a titolo gratuito, in cerca di visibilità. 

5) Yep, c'entra la visibilità
Un giovane giornalista cerca anche il symbolic reward, la ricompensa simbolica per il suo lavoro: una firma in calce, un retweet di pregio. Il focus non è quasi mai esclusivamente sul lato economico.
 
6) Ma non sono una classe
Sono tanti nella stessa condizione, ma non sono una classe. L’atomizzazione chiude ogni freelance dentro alla propria dimensione individuale. Niente istanze collettive. E quasi nessuno dei giornalisti che ho intervistato si fida dei sindacati. 
 
7) C’è parecchio stress
Lo stress c’è sempre stato, ma oggi è una caratteristica più accentuata e massivamente diffusa per mancanza di risorse economiche, competizione perenne, mancanza di prospettive e le solite cose.
Tra il 5,3% e il 21,4% dei giornalisti sono depressi.
8) Sempre più provano avventure imprenditoriali
Le possibilità col web e i social sono illimitate, ma molti falliscono. Non per il poco impegno o le strategie sbagliate, ma per fattori esterni: carenza di finanziamenti, indolenza dei lettori a pagare, enorme concorrenza spesso gratuita.

9) Molti pensano non sia più sostenibile
Dalla mia ricerca emerge che i giornalisti mettono il lavoro davanti alla famiglia, agli amici, alla propria salute, alle proprie finanze. Sono proprio loro ad ammettere che ciò non è sostenibile. Alcuni ogni settimana si domandano se non sia arrivato il momento di smetterla di provarci, di tentare di far quadrare il lavoro della vita con la vita stessa.
 
10) La risposta più bella 
Quella di Daniele Bellocchio, collega freelance che riesce a vivere facendo quello che in fondo tutti vorrebbero fare: il giornalista di guerra. Il segreto sta nella catarsi: «Pensa di essere un subacqueo che va in apnea: quando riemergi hai la sensazione di aver raggiunto qualcosa, un traguardo, ma mentre sei sotto senti i polmoni esplodere. Ti manca l’aria, ma devi resistere».
- SPOTLIGHT -
Samuele Maccolini lavora con Torcha, Il Foglio e Linkiesta. Lo trovate su Twitter (come i giornalisti seri) e su Instagram (per la goliardia).
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«Embrace the weird». Oh yes.

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Buon primo maggio!
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