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28 maggio 2021

Sudamericana

La newsletter sull’America Latina a cura di Camilla Desideri

Il Perù sceglie Il 6 giugno i cittadini peruviani votano per decidere chi sarà il prossimo presidente della repubblica tra Pedro Castillo (candidato del partito di sinistra Perù Libre) e Keiko Fujimori (del partito di destra Fuerza popular). Secondo gli ultimi sondaggi Castillo, maestro rurale e sindacalista, sarebbe in vantaggio di almeno quattro punti percentuali su Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori che ha governato il paese dal 1990 al 2000 ed è stato condannato nel 2009 a 25 anni di carcere per violazione dei diritti umani. Fujimori si era già candidata alla presidenza nel 2011 e nel 2016, perdendo entrambe le volte al ballottaggio, è stata arrestata nel 2018 e oggi è sotto indagine per corruzione e malversazione di fondi pubblici, accuse che lei definisce “politicamente motivate”. Da accuse e minacce è stata segnata tutta la campagna elettorale e molto si è discusso su chi tra i due candidati sia il male minore per il Perù, colpito dalla pandemia, dagli effetti della crisi economica e da una profonda sfiducia della popolazione verso le istituzioni e la classe politica.

Il male minore Lo scrittore peruviano e premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa ha sollevato una polemica dichiarando il suo appoggio per Fujimori, per scongiurare il pericolo che il paese cada nelle mani del totalitarismo e che nel prossimo futuro ci sia un colpo di stato militare. Vargas Llosa, nell’articolo uscito sul País, sottolinea le idee contraddittorie di Castillo, di estrema sinistra in economia e di estrema destra nelle politiche sociali, in quanto è contrario al matrimonio gay, all’aborto e all’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole. Riguardo a Keiko Fujimori, che difende il padre e ha promesso di concedergli l’indulto se sarà eletta, secondo lo scrittore un suo eventuale governo è l’unica possibilità di salvare la democrazia peruviana.

Un voto antirazzista È in disaccordo Gabriela Wiener, scrittrice peruviana e attivista femminista, che in una column pubblicata sulla versione in spagnolo del New York Times spiega perché voterà per Castillo, anche se non era la sua prima scelta: “Penso di appoggiare una rivendicazione storica e anticoloniale e di dare una risposata alla società razzista in cui sono cresciuta. La mia scelta è per cambiare decenni di neoliberismo che hanno danneggiato soprattutto le donne native e povere”. C’è poi una questione importante, quella della memoria. La campagna di sterilizzazioni forzate condotta dal governo di Alberto Fujimori tra il 1996 e il 2001, che ha colpito più di duecentomila donne in maggioranza quechua e provenienti da comunità rurali e povere, è stato un crimine razzista e di lesa umanità definito da Keiko “un piano di pianificazione familiare” e di controllo delle nascite. Per non dimenticare un evento che ha causato cicatrici profonde nella società peruviana e che è ancora senza responsabili, il sito Ojo Público pubblica un portfolio e un video.

L’ombra di Sendero luminoso Il 24 maggio il capo della polizia antiterrorismo Oscar Arriola ha annunciato che 18 persone – dieci uomini, sei donne e due bambini – sono rimaste uccise in un attacco nel villaggio di San Miguel del Ene, in una valle nel centrosud del paese dov’è diffusa la coltivazione della pianta della coca e nota come Vraem. L’attacco è stato attribuito ai combattenti del gruppo maoista Sendero luminoso, molto attivo nel paese tra il 1980 e il 2000. Anche se molte persone hanno invitato i candidati a non usare politicamente l’attacco in vista del ballottaggio, l’episodio potrebbe influire sul voto: i critici di Castillo lo hanno spesso accusato di essere un sostenitore di Sendero luminoso, mentre chi appoggia Fujimori attribuisce al governo del padre il merito di aver messo fine al conflitto con il gruppo maoista.

Il candidato Pedro Castillo a Lima, 18 maggio 2021 (Raul Sifuentes, Getty Images )

Attualità

Colombia Il 18 maggio tre alti funzionari del governo venezuelano hanno reso noto che Seuxis Hernández Solarte, noto come Jesús Santrich, ex comandante dell’organizzazione guerrigliera delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), è stato ucciso in Venezuela. La morte di Santrich è stata confermata anche dalla Segunda Marquetalia, il gruppo dissidente delle Farc di cui il guerrigliero faceva parte. Dopo aver avuto un ruolo di primo piano nei negoziati di pace che si erano svolti a Cuba tra i rappresentanti delle Farc e quelli del governo colombiano e che nel 2016 avevano portato alla smobilitazione della guerriglia, Santrich, ormai quasi cieco a causa di una malattia degenerativa, era stato definito da molti “un traditore del processo di pace”. Era stato accusato di narcotraffico negli Stati Uniti, aveva occupato per un breve periodo un seggio in parlamento (come stabilito dall’accordo di pace), poi aveva fatto perdere le sue tracce e nel 2019 era comparso in un video invitando gli ex combattenti a imbracciare di nuovo le armi e annunciando che sarebbe tornato alla clandestinità. La dinamica della sua morte non è ancora stata chiarita.

Venezuela Il 14 maggio la giustizia venezuelana, vicina al governo del presidente Nicolás Maduro, ha ordinato la confisca dell’edificio che ospita la sede del Nacional, il principale quotidiano del Venezuela. La misura fa parte dell’esecuzione della sentenza per danni morali emessa a favore dell’uomo forte del chavismo, Diosdado Cabello. Ad aprile la corte suprema aveva condannato il Nacional a pagare 13,4 milioni di dollari di multa per aver riprodotto un reportage del giornale conservatore spagnolo Abc in cui si affermava che Cabello era indagato dalla giustizia statunitense per legami presunti con il narcotraffico. Jorge Canahuati, presidente della Sociedad interamericana de prensa (Sip), ha dichiarato il 15 maggio che l’embargo contro il Nacional “passerà alla storia come uno degli attacchi più pesanti contro la libertà d’espressione in Venezuela”. Lo scrittore venezuelano Ibsen Martínez ripercorre la storia del quotidiano, fondato nel 1943 durante la seconda guerra mondiale. “Gli attacchi del governo alla stampa indipendente”, scrive El Nacional nel suo editoriale, “si spiegano con una sola ragione: la paura della verità”. Dal 2018 il giornale usciva solo online.

Argentina Il 18 maggio i produttori di carne hanno proclamato uno sciopero di una settimana per protestare contro la decisione del governo di Alberto Fernández di sospendere le esportazioni di carne per un mese con l’obiettivo di frenare l’aumento dei prezzi sul mercato interno. Ad aprile il prezzo della carne bovina era salito del 65,3 per cento rispetto allo stesso mese del 2020. L’Argentina è il quarto esportatore mondiale di carne bovina. Scrive Enric González, corrispondente a Buenos Aires del País: “La carne bovina rappresenta circa il 10 per cento del commercio estero di un paese sempre più chiuso in sé stesso e orientato a ‘vivere del nostro’. C’è poi da dire che quello che si esporta è diverso da quello che si consuma internamente. Infatti il principale cliente dell’Argentina è la Cina, che compra soprattutto parti di bassa qualità, destinate alla lavorazione industriale. Mentre all’Europa vanno pezzi più costosi e pregiati”.

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Repubblica Dominicana Senza grandi annunci, l’esercito dominicano ha già costruito 23 chilometri di muro lungo il confine con Haiti, il paese più povero dell’emisefro occidentale con cui la Repubblica Dominicana condivide l’isola di Hispaniola. Alla fine di febbraio il presidente Luis Abinader aveva annunciato in un discorso in parlamento l’intenzione di erigere una barriera lungo gli oltre 370 chilometri di frontiera tra i due paesi con l’obiettivo di “frenare l’entrata di migranti haitiani, combattere il narcotraffico e ridurre il contrabbando di veicoli rubati”. I costi del progetto – che nell’idea del governo dovrebbe includere sensori di movimento, telecamere per il riconoscimento facciale e sistemi a infrarosso – non sono stati resi noti. L’opera è stata criticata da commercianti haitiani e dominicani e da molte associazione che difendono i diritti umani, perché danneggia soprattutto le migliaia di haitiani che ogni giorno attraversano la frontiera per cercare lavoro. Nel 2018 sul sito di Internazionale abbiamo pubblicato Un mondo di muri, una serie video del giornale brasiliano Folha de S.Paulo sulle barriere costruite per chiudere i confini, fermare i migranti o nascondere la povertà.

Brasile Gli indigeni yanomami che vivono nello stato di Roraima, nel nord del Brasile, stanno soffrendo una crisi umanitaria gravissima, simile a quella degli anni ottanta quando i loro territori furono invasi da circa quarantamila minatori illegali, avverte la Rede Pró-Yanomami e Ye’kwana, che si occupa della difesa dei diritti territoriali, culturali e politici della popolazione nativa. A causa della presenza sempre più diffusa dei garimpeiros, cercatori d’oro illegali, e quindi delle attività minerarie non autorizzate nel territorio yanomami, sono aumentati i casi di malaria, un fattore di rischio in più per i nativi che si ammalano di covid-19. Secondo i dati del governo brasiliano, finora 1.640 yanomami hanno contratto il covid-19 e tredici sono morti, ma secondo i leader autoctoni i numeri sarebbero più alti. Dall’inizio di maggio nella terra indigena yanomami, una delle più grandi del paese e la più ricca di risorse minerarie, si sono registrati vari scontri tra nativi e garimpeiros armati.

Messico Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador il 17 maggio si è scusato pubblicamente per il massacro di 303 persone di origine cinese, uccise tra il 13 e il 15 maggio del 1911 dalle truppe rivoluzionarie guidate da Francisco I. Madero nella città di Torreón, nello stato settentrionale di Coahuila. “Come succede in tutto il mondo, la storia dei popoli registra momenti di splendore e grandezza accanto ad altri di oscurità e vergogna”, ha detto Obrador, di solito grande ammiratore della rivoluzione messicana. Il gesto di apertura verso la comunità asiatica e il riconoscimento della xenofobia dello stato messicano fanno parte di una serie di cerimonie organizzate dal governo per chiedere perdono alle minoranze etniche per gli abusi inflitti dallo stato. Ma sono anche un modo per rafforzare i legami tra il Messico e la Cina, il grande alleato in Asia, scrive El País. Durante l’evento Obrador ha ringraziato Pechino per “l’importante sostegno offerto fin dall’inizio della pandemia”.


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Focus

Il 15 e il 16 maggio in Cile quasi 15 milioni di persone sono state chiamate alle urne per scegliere tra 1.300 candidati i 155 componenti della convenzione costituente incaricata di scrivere la nuova costituzione del paese, che prenderà il posto di quella introdotta all’epoca della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990). Nel corso degli anni la costituzione in vigore è stata modificata più volte, ma da molti cileni è considerata responsabile delle profonde disuguaglianze sociali del paese. Diciassette seggi sono riservati ai rappresentanti dei popoli autoctoni e i restanti sono distribuiti in misura paritaria tra uomini e donne. Anche se l’affluenza alle urne non è stata alta – ha votato poco più del 42 per cento degli aventi diritto – il risultato delle due giornate elettorali è chiarissimo: i partiti tradizionali, sia della destra al governo sia di sinistra, escono sconfitti. La maggioranza relativa dei seggi infatti è stata conquistata dai candidati indipendenti. Lo ha riconosciuto anche il presidente Sebastián Piñera (centrodestra) parlando dal palazzo della Moneda: “La cittadinanza ci ha mandato un messaggio forte e chiaro. Non siamo sintonizzati con le loro domande e aspirazioni”. L’assemblea avrà nove mesi di tempo per presentare un nuovo testo costituzionale, altri tre mesi per modificarlo. Poi, nel 2022, la costituzione sarà sottoposta a un referendum popolare. Scrive sulla rivista The Clinic Rafael Gumucio, giornalista e scrittore cileno: “Tra tutti i partiti è emerso quello ‘degli altri’, cioè gli indipendenti. D’altronde dalle proteste sociali scoppiate nell’ottobre del 2019 era venuta a galla l’esigenza che niente somigliasse al passato. Il fatto che negli ultimi dieci anni il potere sia stato solo nelle mani di due persone – Michelle Bachelet e Sebastián Piñera – ha rafforzato l’impressione che il tempo fosse fermo e che il futuro era il passato”. Secondo la giornalista Yasna Mussa, “ci sono voluti più di quarant’anni affinché la gente, dalle piazze, desse una lezione ai politici che ci governano. Da oggi le persone comuni vogliono decidere le regole del gioco e in questo devono entrarci le varie tessere del mosaico che formano la società cilena”. Una delle sorprese del voto è stata l’elezione di Irací Hassler Jacob, militante comunista, a sindaca di Santiago. Si racconta in quest’intervista al País.

Festeggiamenti a Santiago del Cile dopo il voto per l’assemblea costituente, 17 maggio 2021 (Felipe Figueroa, Sopa Images/LightRocket/Getty Images)

Libri dall’Argentina

  • “Ho davanti una foto della mamma con me. Sdraiate sulla sabbia, in un angolo si scorge appena la schiuma del mare. Lei ha il viso coperto dai capelli, di me si vede solo la sua mano aggrovigliata tra i miei ricci. Non so quanti anni ho nella foto, posso dire che il suo gomito si appoggia proprio alla base della mia schiena e le sue dita si perdono tra i miei capelli. Quanti anni bisogna avere perché l'avambraccio di tua madre sia lungo esattamente come il tuo busto?”. Aparecida (pubblicato da Gran Vía e tradotto da Camilla Cattarulla) della giornalista, sceneggiatrice e attivista argentina Marta Dillon è un libro potente, con una scrittura al tempo stesso personale e politica, che parla di legami, memoria, scomparsa, separazione, ricongiungimento e militanza. Nel 2018, al festival di Internazionale a Ferrara, Marta Dillon ci aveva parlato del suo impegno politico, strettamente legato alla sua storia personale, e del suo attivismo contro la violenza di genere.
 
  • Identificazione di una storia d’amore. E dei suoi possibili finali. Si potrebbe riassumere così ciò che ha mosso nella scrittura l’argentino Patricio Pron, classe 1975 (che sarà in tour in Italia dal 30 maggio in cinque città) nel suo Domani avremo altri nomi pubblicato da Sur con la traduzione di Francesca Lazzarato. Ma il romanzo non è solo questo, tanto che lo spagnolo Manuel Vilas lo ha definito “la tagliente storia di una separazione che avviene nel cuore del capitalismo di oggi”. Il libro, in cui protagonisti sono semplicemente Lui e Lei, e coloro che vi sono nominati solo con le iniziali, registra un mondo in cui impera la lotta tra la vita interiore – la verità – e i meccanismi spersonalizzanti che regolano le nostre società. È il consiglio di lettura di Alberto Riva, giornalista e scrittore.

Consigli

  • Quest’anno la Reuters memorial lecture, un discorso che ogni anno dal 1993 è tenuto da un giornalista che si occupa di un tema importante per l’informazione, sarà affidato alla brasiliana Patrícia Campos Mello, del quotidiano Folha de S.Paulo. La conferenza s’intitolerà “Come salvare il giornalismo in un’epoca di bugie”. Dal 2018 Campos Mello ha pubblicato una serie di articoli sull’uso illegale delle catene di messaggi su WhatsApp per diffondere notizie false e su come queste campagne di disinformazione stanno manipolando l’opinione pubblica in Brasile. L’evento si svolgerà online su Zoom l’8 giugno e sarà aperto a tutti. Ci si può iscrivere qui. Al termine del suo intervento, Campos Mello dialogherà con il giornalista britannico Alan Rusbridger, ex direttore del Guardian e presidente del Reuters institute.
 
  • Il sito colombiano Cerosetenta si è unito al collettivo di giornalisti Bellingat e all’agenzia di ricerca Forensic architecture, che indaga sulle violazioni dei diritti umani, per mappare le violenze commesse durante le proteste che sono cominciate in Colombia il 28 aprile e ricostruire i crimini della polizia. Nella mappa interattiva chiamata “Represión y muerte en las calles de Colombia”, Repressione e morte nelle strade della Colombia, ci sono i video (il cui contenuto è stato verificato) degli abusi delle forze dell’ordine, categorizzati per data e luogo. In questo modo si ha una visione completa della violenza nel paese e nelle singole città.

Questa settimana su Internazionale

Sul sito Il giornalista francese Pierre Haski analizza il voto cileno per eleggere l’assemblea costituente. Il giornalista e scrittore messicano Juan Villoro commenta il viaggio di una delegazione zapatista in Europa.
Sul settimanale Un articolo uscito sulla Mit Press Reader ci porta nel sud del Messico, nello stato di Oaxaca, per raccontare un progetto comunitario di telecomunicazioni creato dalle comunità native. E sul País lo scrittore cileno Patricio Fernández, eletto come indipendente nell’assemblea costituente, parla di come ripensare la democrazia del paese. Infine un portfolio del fotografo irlandese Richard Mosse sui danni causati dalla deforestazione nell’Amazzonia brasiliana.

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