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#5 / La nostalgia del futuro

Sono tornate le armi e i popoli al centro del villaggio globale. L'essere umano è un sistema complesso che fa salti in avanti ma alla fine torna sempre indietro. Ferragni adieu, Musk adieu, Zelenski adieu. O meglio a Dio. Perché l'essere umano è prima di tutto primordiale. E' acciaio, terra e malattie, come la politica che è sangue e merda. Matteo Renzi lo scorso 2 gennaio su Il Riformista, scrive: «Il politico giudica, l'influencer commenta. L'influencer è, per dirla con le parole di Giorgio Gaber (morto il giorno di capodanno di ventun anni fa), uno che quando pensa, "pensa per sentito dire"». Va bene farsi prendere per il culo ma almeno facciamoci prendere il culo dai professionisti anziché da star e starlette. L'auspicio del leader di Italia Viva per il 2024 è che i politici tornino a guidare gli italiani, lasciando ai personaggi social il compito di assecondare i loro più reconditi desideri, confessabili o meno. La relazione intrattenuta dalla maggioranza disorganizzata con la minoranza organizzata dev'essere di dipendenza non di dominanza. L'élite illuminata deve produrre il popolo, è questo l'unico modo in cui un Paese può dirsi in salute. Se il Partito Democratico di Elly Schlein si ritrova nella sfortunata circostanza di dover, non solo creare un popolo, ma addirittura un elettorato fedele alle sue idee, non è così per molti sindaci che sotto la bandiera del PD sono stati eletti. Il 3 gennaio Il Corriere della Sera ha intervistato Giovanni Diamanti, il mago del centrosinistra, spin doctor di Giacomo Possamai e Damiano Tommasi, vincitori rispettivamente a Vicenza e Verona. Ha parlato molto di sé e delle sue esperienze personali, mentre mesi fa, per noi di Dissipatio, si lasciò a qualche riflessione più profonda.

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«In un mondo di partiti del capo, come li chiama Fabio Bordignon, i partiti veri sono quelli che si contrappongono al partito verticistico e leaderista, che non ha alcun tipo di ideologia se non l’idea che quotidianamente sforna il capo. In un mondo di partiti del Capo, che ci sia ancora chi si ostina a fare una politica di stampo più tradizionale riuscendo così a costruirsi uno spazio non è irrilevante». E ancora, stavolta sul ruolo degli influencer in politica: «Se un influencer trova il modo non di influenzare, ma di riuscire a far informare e a far discutere ragazzi che di politica non parlano, non si interessano, non discutono, penso sia qualcosa di positivo. Sono anche dell’idea che non sia la soluzione: la soluzione è trovare un modo diverso per far arrivare l’informazione politica tradizionale anche a chi la rifiuta.»



«La celebrità che si candida, la celebrità che ottiene consenso, la celebrità che prende posizione in modo diretto su qualunque tema. Quest’ultima cosa non la ritengo auspicabile e soprattutto non penso sia possibile»
 

Si è aperto un nuovo anno, quello che in molti hanno definito come l'anno delle elezioni globali. In effetti, mezzo mondo è chiamato alle urne: Stati Uniti, India, Iran, Bangladesh, Russia, Indonesia, Pakistan, Taiwan, Sudafrica, Messico, e, non da ultima, Unione Europea. Un anno chiave, lo ha sottolineato anche Luigi Bisignani in un'intervista rilasciata ad Affari Italiani, in particolare per Giorgia Meloni: «O Meloni svolta e diventa una vera grande leader o finisce nel solito tran tran dei tanti premier che poi si spengono e finiscono nel declino». Tutto passa per il 9 giugno, data in cui si capirà che Parlamento avrà l'Unione. Sono in molti a scommettere su una sua balcanizzazione, ovvero su una spaccatura che porterà ingovernabilità e incertezza, con Partito Popolare, Conservatori e ID a farla da padrone. Una destra dominante, come sottolineato da Giovanni Orsina, che rispecchia l'andazzo generale nel Continente. Il tutto mentre i riflettori rimangono accesissimi sulla Germania, a forte rischio urne anticipate: l'alleanza guidata da Olaf Scholz rappresenta, ad oggi, secondo i sondaggi che abbiamo riportato in un articolo per i nostri membri del Nucleo Operativo, appena un terzo del Paese. Mentre AfD si accinge sempre più a diventare la prima forza del Paese: scenario impensabile fino a pochi mesi fa.


NEL SEGNO DI ALTERNATIVE FÜR DEUTSCHLAND

AfD primo partito in Germania non è più un’ipotesi troppo azzardata. Le forze al governo federale oggi non raggiungerebbero il 35% dei voti, e mentre la destra si prepara a governare c’è da fare i conti con la scomoda eredità di Angela Merkel.

Ma al di là delle elezioni, il punto rimane quello iniziale: che tipo di rapporto c'è fra eletti ed elettori? E soprattutto: le urne sono l'unico modo in cui esso si manifesta? Il politico è dunque un prodotto del suo popolo, o è vero l'inverso? Il leader influencer sembra aver fallito, si guardi Matteo Salvini dalle nostre parti o Donald Trump nel 2020, che macinava decine e decine di tweet alla settimana ed è finito per perdere le elezioni, mentre ora, conducendo una campagna elettorale fantasma si ritrova in cima ai sondaggi, e non solo quelli fra i candidati al Partito Repubblicano. Secondo la media di Real Clear Politics, Trump avrebbe 2,2 punti di vantaggio (46,5% vs 44,3%) su Joe Biden. Pesa la gestione del conflitto in Ucraina, il caos globale, ma anche e specialmente la situazione economica nel Paese. Su quale tipo di leader, dunque, si punta oggi, passata la sbornia da trovate pubblicitarie su Facebook, Instagram e TikTok? Augusto Minzolini, riprendendo le parole pronunciate dal Capo dello Stato nel discorso di fine anno, sottolinea quello che è sotto gli occhi di tutti: la classe dirigente viene selezionata per fedeltà al vertice, non esistono più scuole di partito o la cosiddetta "gavetta" da seguire per ascendere ai vari cerchi magici. Con tutte le conseguenze del caso: «L'elettore si sente privo di una rappresentanza e sceglie sempre il nuovo (basta guardare alle elezioni degli ultimi dieci anni), per poi scoprire, suo malgrado, di aver scelto il peggio visto che il nuovo non sempre va a braccetto con il meglio».

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Eletti ed elettori fluidi, privi di un'ideologia spessa, che si adattano alle circostanze, traducendo gli elementi di cui dispongono in un determinato tempo e spazio in una tattica che dura quanto dura una stagione politica. È la strategia che manca, quella a lungo termine, che invece di prevedere il futuro lo crea, disvelando una strategia che aspetta solo di essere scoperta. Questa è una delle tesi più discusse, di Dario Fabbri, esplicitata nel suo ultimo saggio Geopolitica Umana: «A limitare sostanzialmente l’incidenza dei leader è l’esistenza della strategia. Nella sua condizione strutturale questa va semplicemente riconosciuta, non elaborata, va perseguita, non discussa. Pena, finire sottomessi agli avversari. Realtà che rende superfluo l’intervento delle figure apicali.» Il leader vero, dunque, in quanto frutto delle voglie e dei desideri inespressi del suo popolo d'origine, rivela la strategia e la persegue, sfruttando al massimo gli elementi a sua disposizione. La riforma sul premierato è voler agire sulla sovrastruttura, assecondando il pensiero politologico che vuole il destino di una nazione dipendente dalla sua organizzazione politica. Quale differenza intercorre dunque fra la Francia prerivoluzionaria e quella di Macron: nessuna. Per definizione la rivoluzione compie un giro di trecentosessanta gradi, tornando alla situazione di partenza. Tutto cambia affinché nulla cambi, citando uno degli aforismi meno capiti della nostra letteratura.

Un libro frutto degli studi e del personalissimo approccio di Dario Fabbri, che racconta di una geopolitica “umana”, intessuta con discipline quali l’antropologia e la psicologia collettiva, ma anche strettamente connessa con la profondità storica, l’etnografia e la linguistica, luogo in cui le parole si fanno campo di battaglia e che quindi segnala “traumi e invasioni, conquiste e seduzioni”. Una geopolitica da utilizzare come «lente graduata per vincere la miopia, prisma prezioso per scrutare le questioni del nostro tempo. Con l’obiettivo di comprendere cosa può scalfire il sistema che abitiamo, quale potenza possederà il futuro, in quali contesti si deciderà la lotta per l’egemonia, quali effetti avrà sul nostro Paese.»

In tutto questo incombe l'incognita intelligenza artificiale, menzionata anche da Sergio Mattarella: «La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali. Adesso con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali. Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana». La risposta, sostiene il Capo dello Stato, è partecipare ancora di più alla vita della polis. Votare, votare e ancora votare. Il fattore umano come risposta alla fredda efficienza delle macchine. Toni Negri vedeva nelle macchine il roseo avvenire di una società senza più la schiavitù del lavoro. Oggi prevale la paura di perdere i nostri privilegi. Il cerchio potrebbe chiudersi così, dalla riscoperta dell'uomo al centro di Boccaccio e Petrarca nel XIV secolo al suo spostamento periferico nel XXI secolo, in posizione ancellare rispetto alla grande macchina da cui dipendiamo. E in tutto questo l'esercizio del voto continuerebbe imperterrito, non abbiamo dubbi. Svuotato del suo significato, solo per ricordare la perduta grandezza dell'uomo.

Roma, Dicembre 2023. XIII Martedì di Dissipatio
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