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#15 / La sindrome di Napoleone
Non c'è apparente spiegazione dietro il delirio di onnipotenza di Emmanuel Macron. O forse sì. Mancano tre anni alle prossime elezioni presidenziali di Francia eppure è quasi come se il tempo a disposizione fosse molto meno. Sarà forse per le europee di giugno, sta di fatto che il bilancio finale dei due mandati si avvicina e i risultati sono tutt'altro che confortevoli: l'influenza in Africa straordinariamente ridimensionata, un rapporto incrinato con il vicino tedesco, mentre il continente si conferma in balia di sommovimenti incontrollabili che si ripercuotono dentro i confini nazionali. Il Paese è sull'orlo di una crisi di nervi, e ben lo sa Marine Le Pen, che si sta già preparando la strada per l'Eliseo. Sono lontani i tempi in cui il Fronte Nazionale (oggi Rassemblement National), incuteva timore a Parigi come a Bruxelles. A poco servono le invettive in Parlamento del nuovo Primo Ministro – il giovanissimo Gabriel Attal – volte a ricordare il nutrito scambio di vedute fra Le Pen e il Cremlino durante gli ultimi anni, oggi la candidata numero uno per l'Eliseo è pienamente allineata con le posizioni alleate: pieno sostegno all'Ucraina, pieno sostegno ad Israele. I sondaggi sembrano però non risentirne, anzi: secondo Ipsos RN stacca il partito di Macron di oltre dodici punti, accingendosi così a contribuire in maniera decisiva alla formazione del prossimo parlamento europeo.
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È bene ricordare che la politica è fatta dalle persone, cioè dagli uomini e dalle donne, imperfetti come chiunque, il cui apporto è anche e soprattutto dato da un fattore emotivo che non può essere sminuito. Emmanuel Macron vede il conflitto in Ucraina molto da vicino. Più per il rapporto con Vladimir Putin, da cui si sente tradito, che per quello sicuramente meno profondo con Volodymyr Zelensky. Complice una lunga negoziazione nei mesi prima della deflagrazione del conflitto buttata all'aria senza preavviso alcuno, complice l'umiliazione del lunghissimo tavolo a cui Putin l'aveva costretto pochi giorni prima di quel 24 febbraio 2022, complice infine una chiamata d'aiuto arrivata da Kiev nelle primissime battute del conflitto e tornata a circolare su Twitter in queste ore: sta di fatto che Macron ha il dente avvelenato. Cominciano così a circolare voci su un contingente composto da duemila soldati francesi pronto a entrare in Ucraina - voce probabilmente fatta circolare dal Cremlino per chiamare il bluff francese – in seguito smentita dall'Eliseo. Ma la tensione resta alta, anche perché rimane da capire quanto faccia sul serio il petit Napoleon, a capo dell'unica potenza europea continentale con una testata atomica, ma senza fedeli alleati pronti a seguirlo.
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Da un punto di vista interno, la situazione non è certo sbrogliabile con facilità. Come noto i francesi hanno fatto della protesta incendiaria uno dei mezzi con il quale fare politica, per le strade come nel palazzo, ma negli ultimi giorni sembra che la pressione sia aumentata. Risalgono a qualche settimana fa i circa centro arresti a margine delle proteste degli agricoltori. Mentre è invece di qualche ora la notizia dell'operazione antidroga, denominata Piazza pulita XXL, lanciata dal Presidente contro il narcotraffico nazionale, che ha a Marsiglia il suo epicentro più attivo. Dopo una visita a sorpresa nella città l'annuncio: «Vogliamo distruggere le reti di trafficanti e cacciare quelli che vi rendono al vita impossibile». Nei fatti si tratta di quattromila agenti aggiuntivi e una ventina di giudici per velocizzare le condanne e tentare di calmare una situazione che nel sud della Francia sta diventando insostenibile: le bande criminali DZ Mafia e Yoda sono in guerra aperta e da mesi si fa la conta dei morti. Il 29 settembre due uomini fermi davanti a una farmacia del quarto arrondissement di Parigi sono stati uccisi in una sparatoria. Mentre ha fatto ancora più scalpore il caso di una studentessa ventiquattrenne raggiunta da un proiettile vagante mentre studiava nella sua camera da letto. Risale invece a fine agosto il caso di un bambino di appena dieci anni morto anch'egli fortuitamente a Nimes.
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Mentre, in pieno stile propagandistico, impazzano le foto di un prestante Macron pronto a fare a pugni, coi guantoni da boxe indossati - con la moglie Brigitte che giura che il marito va in palestra due volte a settimana a scaricare la tensione - il mondo sembra quasi ignorare gli sforzi sovrumani di un uomo che troppo chiaramente vuole mostrarsi più grande di quanto non sia. L'intento è prendere in mano le redini di una resistenza europea (non a caso la possibile vittoria russa è diventata un pericolo esistenziale per la Francia) che gli Stati Uniti stanno abdicando senza troppi giri di parole. Pierre Schill, capo delle forze armate francesi, parla di ventimila uomini "pronti", ma non si sa bene a fare cosa, visto che, senza una visione continentale comune, nessuno può muoversi. Il vertice di Weimar, fra il capo di Stato francese, Olaf Scholz e Donald Tusk, ha sottolineato l'ovvio: ovvero che ognuno continua a perseguire i propri interessi. I tedeschi vogliono continuare a mandare munizioni e armi, ma si guardano bene dall'alzare il livello dello scontro: la Russia è storicamente un partner commerciale, più si gioca pesante, più si compromettono gli affari futuri. La Polonia, l'unica che potrebbe a ragione vedere Mosca come una minaccia esistenziale, è guidata dal più europeista dei presidenti, che aspetta le elezioni di giugno prima di esporsi.
La sindrome di Napoleone sembra essere inevitabile per ogni inquilino dell'Eliseo. Con i residui di un impero frantumato pronto a essere messo in discussione ovunque, una difficile tenuta interna e un margine di trattativa diplomatica quasi assente, tutto si potrebbe pensare tranne che sia opportuno comportarsi come la superpotenza di turno. Eppure Emmanuel Macron, per cercare di smuovere dei sondaggi che lo danno più vicino ad essere il terzo partito che non il secondo, vuole proiettare l'immagine del leader chiamato a sedersi al tavolo dei grandi. Paiono scarse al momento le possibilità che qualcuno gli dia retta. A ben vedere una punizione ancora più grande della sconfitta. In un editoriale pubblicato su Libero lo scorso 17 marzo, Mario Sechi ricorda le celebri parole di Hegel, quando nell’autunno del 1806 vide Napoleone entrare a Jena: «Ho visto l’anima del mondo a cavallo». Macron non è anima, né spirito, né corpo. Anzi, tutto il contrario di un politico lungimirante: «Il problema in Ucraina è tenere l’alleanza occidentale compatta e fare bene la guerra per conquistare la pace. Non a caso i tedeschi hanno dato l’assenso a una coalizione per le armi a lungo raggio, ma non prendono in considerazione l’invio di soldati, l’ingresso in una palude strategica». E ancora: «Macron ha costretto l’Italia e altri Paesi a prendere le distanze dai suoi piani puramente retorici. Una manifestazione di debolezza dell’Eliseo». E una manifestazione di debolezza generalizzata dunque dell'Europa, fortunatamente prossima a dire la propria, fra poco meno di tre mesi.

NON C'È SPAZIO PER L'EUROPA DI MACRON

Il numero uno dell’Eliseo torna con forza sul tema dell’autonomia strategica (e politica) europea dagli Stati Uniti. Ma il Vecchio Continente, stremato e diviso dalla guerra in Ucraina, non ne vuole sapere di seguirlo.
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