#18 / L'Italia entra nel Nucleo |
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Appena ventiquattr'ore fa, ovvero mercoledì 10 aprile, i giornali battevano come un sol coro una notizia passata in sordina, ma d'importanza capitale. Eni ha "promesso" entro dieci anni la prima centrale a fusione nucleare. Un progetto guidato dalla startup Commonwealth Fusion System, legato all'Università americana MIT, che prevede l'avviamento di una centrale pilota già entro il 2025. Un impianto a fusione, ben diverso da quelli a fissione, poiché trattasi di un metodo in cui due atomi si uniscono per dar vita a uno più leggero, rilasciando energia durante il processo, ma senza restituire scorie radioattive, che rimangono al momento il problema principale degli impianti a fissione. Per quanto riguarda la fusione la sfida è quella di riuscire a produrre più energia di quella richiesta per alimentare l'impianto. Obiettivo considerato fantascienza fino a qualche decennio fa, oggi sempre più vicino a concretizzarsi, sebbene ancora molti punti rimangano da chiarire. Senza dubbio un'Italia nel Nucleo risolverebbe i non pochi problemi di carattere energetico che l'atteggiamento di aperta ostilità diplomatica nei confronti della Russia ha rivelato dopo il 2022.
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Ma di nuove tecnologie legate al nucleare sembra essere emersa una sovrabbondanza di questi tempi. Qualche mese fa Paolo Chirafisi raccontava la tecnologia della Trasmutazione, il cui nome stesso sembra uscito da un trattato ermetico di Paracelso o Fulcanelli, che si presenta al pubblico post-rinascimentale, post-industriale e finanche post-umano come nuova frontiera per la produzione di energia sicura. Nel segno del torio si compirà il processo di trasformazione della materia. Lectio nuclearis necessitata: “Rispetto all’uranio, il torio comporta infatti diversi vantaggi. Innanzitutto, è più abbondante, poiché è presente nella crosta terrestre in quantità di circa quattro volte superiori, stimate in circa 12 milioni di tonnellate. Inoltre, esso è un materiale fertile e pertanto interamente utilizzabile in reattori autofertilizzanti senza bisogno di arricchimento.
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IL TEMPO DELLA TRASMUTAZIONE
Come tutti gli inverni, anche quello nucleare è destinato a finire, cedendo il passo a nuove stagioni che faranno irruzione nello spazio delle nostre esistenze, con forme inedite. Laddove la forma è però, sempre più spesso, sostanza che si incorpora nel vasto orizzonte degli umani.
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Un reattore alimentato al torio produce poi una quantità minima di elementi radioattivi a vita lunga come plutonio, americio e curio. Questo fa sì che il combustibile esaurito, che rimane nel reattore, abbia una pericolosità di 1.000 volte inferiore a quella di un reattore all’uranio e che le scorie prodotte possano essere smaltite più facilmente”. Anche a noi profani è dato dunque di capire come scorie altamente radioattive, provenienti dal pleistocene atomico, possano mutare in novello combustibile per nuove mini-centrali nucleari, ottenendo la classica coppia di piccioni via unica fava: smaltire i vecchi rifiuti radioattivi, cronicamente affetti da sindrome Nimby, estraendone al contempo energia pulita. Produzione di merci a mezzo di merci, direbbe l’economista; sì ma qui in versione alchemica a doppio legame, dove la materia inferiore, ma di superiore radiazione, si trasforma in materia più elevata ma ad emissione radioattiva inferiore. Sembra un rebus, o un sator-rotas ma è semplicemente pragmatismo energetico, in salsa tassonomica verde, con tanto di sigillo UE.
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NUCLEARE SÌ, NUCLEARE NO
Le prospettive sul futuro dell'energia atomica sono fonte di dibattito senza fine fra sostenitori e critici.
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Nel frattempo però che le nuove tecnologie vengono sviluppate, la cara vecchia fissione rimane ancora influente nelle nostre vite, sia che la si scelga di produrre, sia che la si importi solamente. L'Europa è il continente con la più alta densità nel mondo di centrale a fissione: un numero destinato ad aumentare col tempo. Gianni Silvestrini – già ricercatore presso il Cnr, direttore generale del Ministero dell’Ambiente, presidente della società Exalto Energy&Innovation – sconsiglia un ritorno al nucleare italiano (Che cosa è l’energia rinnovabile oggi, Milano, Edizioni Ambiente, 2022). Umberto Minopoli – già parlamentare, presidente del cda di Ansaldo Nucleare e dell’Associazione Nucleare Italiana – considera l’energia dell’atomo come irrinunciabile (Nucleare ritorno al futuro, Milano, Guerini e Associati, 2022). Due posizioni autorevoli. Come ha riportato Alessio Mariani sulle nostre colonne digitali, entrambe le analisi concordano su una fase declinante del nucleare, cominciata a partire dagli anni Ottanta. Anche l’Italia del 1987 era lontana dal terzo produttore al mondo di vent’anni prima, fermandosi al 4.6% di elettricità nucleare. Comunque, tra idrocarburi a basso costo (decisivi), avvento delle rinnovabili, fino agli incidenti di Three Mile Island, Černobyl’ e Fukushima, l’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari sulla quota globale è scivolata dal 18%, al 10% circa. O in Germania, dal 29.5% del 2000, all’11.4% del 2020. Nella tendenza di lungo periodo, i decommissionamenti hanno superato le nuove costruzioni. Verso una stagnazione nel periodo 1999-2020, con 104 reattori avviati e altrettanti chiusi.
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ROMA, MARZO 2024. XVI MARTEDÌ DI DISSIPATIO
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Ma l'inverno sembra destinato a finire. Il 21 dicembre 2021, dopo dodici anni di lavori, la centrale finlandese di terza generazione Epr, Olkilouto 3 ha iniziato a produrre energia elettrica per 1600 megawat, incrementando del 14% la capacità del paese, con il favore dell’opinione pubblica e l’indipendenza dal gas russo. Entro il 2040, la Francia ha annunciato sei centrali dello stesso tipo, altrettante la Polonia, due la Repubblica Ceca, una Slovenia, Bulgaria e Ungheria. Secondo Minopoli, potrebbero correre i primi passi del rinascimento nucleare. Secondo Silvestrini invece, l’eccezione finlandese conferma la regola: unica centrale europea da vent’anni, in fieri dal 2005, preventivo triplicato e problemi condivisi con la centrale francese di Flammanville, ascesa da 3.4 a 19 miliardi di euro, ancora incompleta. Quanto agli annunci, il rinascimento nucleare statunitense di George W. Bush è finito con la cancellazione della metà dei reattori previsti e il fallimento nel 2017 della Toshiba-Westinghouse. La ragione sarebbe economica. Negli ultimi dieci anni, i costi di manutenzione e costruzione delle centrali nucleari sono cresciuti del 33%, mentre quelli delle rinnovabili sono precipitati. Nel 2010, il governo britannico si accordò con l’azienda francese Edf (Électricité de France): un nuovo reattore Epr a Hinkley Point e un prezzo garantito indicizzato all’inflazione per l’energia elettrica, 123€ ogni megawatt ora. Oggi l’eolico offshore vende alla metà.
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Così, tra tesi e antitesi, la sintesi interroga. Che i benefici di impronta carbonica, riparo dai picchi petroliferi e del gas, sicurezza e diversificazione energetica, valgano i rischi d’incidente, gestione delle scorie, economici e di competizione con altre tipologie d’investimento? A margine rimane una grande incognita: come reagirà l'opinione pubblica al grande ritorno del nucleare? Se una parte, pur di non sentire più parlare di decarbonizzazione, risparmio energetico e politiche green, potrebbe seguire il nuovo trend, si è certi che una scelta simile si trascinerebbe una critica feroce, pronta a capitalizzare, almeno in Italia, l'esito dei due referendum che hanno restituito forti percentuali a favore del suo abbandono. Si dirà che l'onda emotiva dopo Černobyl’ e Fukushima abbia pesantemente influito sulla decisione. Ciò detto, la diffidenza permane e non basterà un colossal cinematografico per restituire la fiducia minata.
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Compriamo energia nucleare fatta a pochi chilometri dal confine anziché produrla noi. Confondiamo tossicità con radioattività, i rischi di una centrale atomica con quelli di una bomba atomica. Crediamo che i rifiuti e le scorie siano due cose diverse (gli uni non pericolosi, le altre sì), che la ricerca sia sempre ferma ai tempi di Černobyl, che la scelta di chiudere i nostri impianti sia stata dettata dalla volontà popolare e non dalla corsa agli idrocarburi. In tutto il mondo si continuano ad aprire centrali nucleari, si costruiscono nuovi reattori, si progettano strutture di sicurezza a prova di errori umani o catastrofi naturali: al contrario, l’Italia, che era la terza potenza nucleare del pianeta, ha fermato tutto e ha cominciato a comprare da altri l’energia necessaria. Solo una percentuale minima del suo fabbisogno è coperta dalle fonti rinnovabili, per il resto il gas viene dalla Russia, il petrolio dagli arabi, il nucleare dai francesi e dagli svizzeri. L’aumento dei prezzi del gas e la guerra ci obbligano a rivedere il nostro mix energetico e i pregiudizi sul nucleare. E anche a batterci perché questa fonte, priva di emissioni nocive, inserita nella tassonomia europea, sia utilizzata per i finanziamenti sostenibili: il fabbisogno di energia del pianeta non va soddisfatto a scapito dell’ambiente, né della ricchezza energetica.
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