#20 / Geopoetica della Biennale di Venezia |
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Lasciate alle spalle le polemiche da bar di guerre stellari sulla censura patita da Antonio Scurati, neanche troppo fortuitamente intrecciate con le ricorrenze del 25 aprile, e quelle sulle ultime dichiarazioni di Roberto Vannacci, è ora di viaggiare in un'altra galassia, in un pianeta non troppo lontano, ampiamente già esplorato. Dove però è stata scoperta una sorgente miracolosa. A Venezia, che assomiglia a Istanbul, è stata inaugurata la sessantesima edizione della Biennale d'Arte, sotto la direzione del brasiliano Adriano Pedrosa e presieduta da Pietrangelo Buttafuoco, appena nominato dal ministro Gennaro Sangiuliano. I primi segnali che arrivano sono inequivocabili.
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È tempo di guerra, di crisi, di decadimento. La patata bollente israeliana è stata affrontata di petto: chiuso il padiglione “fino al cessate il fuoco e al raggiungimento di un accordo per la liberazione degli ostaggi”, così ha deciso la curatrice ed artista Ruth Patir, “rifiuto fortemente il boicottaggio culturale, ma sono in grande difficoltà a presentare un progetto che parla di vulnerabilità per la vita in un momento in cui non c’è rispetto per essa”. Pietrangelo Buttafuoco cavalca la polemica e ne fa qualcosa di più: "Questo, per dirla con Magritte, non è un padiglione, è un fatto d'arte, è il genio dell'arte che sa trovare risposta". La nuova era della Biennale è un continuo elogio della polemica, è arte che si manifesta nel dibattito, nello scontro e nella libera circolazione delle idee. Essere straniero è una condizione dell'anima, prima che fisica. Così le nostre opinioni e punti di vista non devono rimanere nella sicurezza di casa nostra, dove crescono e rabbiosamente implodono, ma è bene che viaggino verso terre sconosciute, alla ricerca di un cambio di prospettiva. Il Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro non ha saputo trattenersi: "Il Padiglione [italiano, ndr], sono sincero, non mi è piaciuto". Reagisce il pubblico, stizzito dall'antipatica sicumera del primo cittadino, fischiando. Ma Buttafuoco non si scompone, anzi: "Caro sindaco hai fatto i baffi alla Gioconda. Ed è l’atto performativo per eccellenza, che è quello di avere innestato in un fatto d’arte la viva carne della polemica".
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È tutto parte di una visione più grande, che esula dall'evento in questione per cercare di rivolgersi al mondo, superando i confini europei. Non dobbiamo avere paura del confronto, ma al contrario dobbiamo rendergli grazie, come fosse il dio di una nuova religione laica. Criticare, disprezzare, urlare il proprio disappunto: queste sono le preghiere che dobbiamo recitare quotidianamente. Ma essere stranieri ovunque vuol dire non chiudersi nella consapevolezza di essere parte di un mosaico, piuttosto ci aiuta ad abbracciare la nostra fondamentale universalità. Così, arrivati a questo punto, possiamo cominciare a intravedere la geopoetica della Biennale LX, anche grazie a due importanti riferimenti letterari che Buttafuoco regala a chi ha modo di ascoltare: "Ernst Jünger è anche autore di un libro che è parola, viatico, futuro. E la parola è ‘pace’. Ed è a lui che Kohl e Mitterrand consegnano il suggello di pacificazione di una guerra che non ha mai avuto fine tra i loro popoli, la Francia e la Germania. E sono mano nella mano entrambi per rendere onore all’ultimo soldato la cui parola di destino è pace". E ancora: "Nel prossimo 2025 tutti noi saremo chiamati a segnare una distanza dal 1795. È l’anno di pubblicazione della ‘Pace perpetua’ di Kant. E chissà il prossimo anno dove saremo arrivati. Chissà quale ‘clausola salvatoria’ avrà modo di riparare i danni dell’ospite che oggi è in tutti noi".
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ROMA, APRILE 2024. XVII MARTEDÌ DI DISSIPATIO
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Carmelo Palma, in un editoriale pubblicato su Linkiesta, parla di un Buttafuoco in versione terzomondista e pacifista, che non censura niente e nessuno e pare pronto a "fare la resistenza" per affermare la necessità di opporsi al peccato originale del binarismo liberale, causa e soluzione dei conflitti che dice di voler sradicare dal mondo. Ma è una visione che porta guai. Per informazioni citofonare in Vaticano, dove il punto di vista realpacifista di Papa Francesco non ha provocato altro se non l'ostracismo della stampa allineata con le posizioni ucraino-occidentali, e di conseguenza i favori di quella filo-russa. La sfida vera sembra essere dunque non tanto il contribuire a far prevalere una parte, ma affermarsi fuori dal suddetto binarismo.
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L'eroe tedesco della Prima guerra mondiale, decorato con l'Ordine pour le Mérite, riflette in queste pagine sulla fisionomia che l'Europa e il mondo avrebbero acquisito quando il sistematico massacro della Seconda guerra mondiale si fosse concluso. La prima versione di questo scritto fu stesa nel 1941 e circolò negli ambienti dei protagonisti dell'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, quando Jünger era ufficiale della forza di occupazione tedesca a Parigi: La pace è la testimonianza della personale resistenza interna al regime nazista oltre che di una disillusione assoluta nei confronti della guerra come strumento politico. Per Jünger le deportazioni, le persecuzioni, le fosse comuni, i forni crematori che hanno caratterizzato la "guerra civile planetaria" costituiscono il "sacrificio" sul quale poggia la pace, una pace che proprio in nome dell'immane violenza della Seconda guerra mondiale deve essere assoluta e condurre a una serena convivenza di tutti i popoli sulla terra.
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Un'attenzione speciale non può che essere dunque riservata al padiglione vaticano, tenendo bene a mente l'idea di arte bergogliana: "L’arte non è una cosa sradicata: l’arte nasce dal cuore dei popoli". Non c'è dunque estetica in grado di vivere per sé stessa, fondamentale è sempre asservirla alla veicolazione di "potenti immagini". Scrive Antonio Spadaro - sottosegretario del Dicastero per la cultura e l'educazione presieduto dal Cardinale Tolentino - su Il Fatto Quotidiano che l’arte, dunque, "non è semplicemente un 'laboratorio' di sperimentazione di dinamiche culturali ed espressive, ma parte integrante del flusso della storia, espressione del vissuto". E ancora: "L’arte è nel cammino dell’uomo sulla terra, oggi aperto su un baratro. E su di esso dall’interno del cortile centrale del Carcere della Giudecca si leva un messaggio sintetico, una scritta al neon del duo Claire Fontaine che brilla nel buio: 'Siamo con voi nella notte'."
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È su quel voi che bisogna riflettere e puntare. Un'arte popolare che passi da immagini potenti per aprirsi e rivolgersi a tutti, senza dimenticare che non si è mai a casa, ma stranieri nel cuore del prossimo. Non è dunque un caso - non lo è mai in questi casi - che Bergoglio abbia fatto visita personalmente alla Biennale. Il Patriarca Francesco Moraglia, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, si è così espresso: «Francesco è forse l’unico a mostrare che l’odio e le ferite restano per generazioni e a leggere questa situazione in una prospettiva che interessa i ragazzi perché la dovranno gestire loro, è il loro futuro a esserne ipotecato». Le visioni di Bergoglio e Buttafuoco possono essere sintetizzate in un cammino nell'ignoto alla ricerca d'immagini che accomunino, che ci facciano sentire ovunque a casa. Universali e particolari allo stesso tempo. La pace è pertanto conditio sine qua non. L'immagine jungeriana un impulso fondamentale per visualizzare l'obiettivo, nella sfida di dover remare contro chi non condivide l'interesse ultimo dell'umanità. Secondo il Cardinale Pietro Parolin il Papa sarebbe «pronto a utilizzare tutti i mezzi e gli spazi che gli sono offerti per tentare di ricostruire il tessuto della comunità internazionale che si è ultimamente lacerato e che purtroppo ha difficoltà a essere ricomposto». Un vademecum politico, sotto forma di discorso ai leader internazionali, è atteso al G7 di Fasano, in programma qualche giorno dopo le elezioni europee. Papa Francesco è chiamato così a dare prova, ancora una volta di persona, alla propria geopoetica veneziana.
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