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Newsletter n.33, 31 Ottobre 2022
EVENTI

Tutte e tutti  a Roma il 5 Novembre  2022 per la Manifestazione Nazionale per la Pace. Facciamo sentire  chiara e forte la voce della pace!

 In questo numero parliamo di Linguaggi e Diritti
 
  • Il presidente e la capa-trena. Anche il Linguaggio di Genere tutela i diritti delle donne.
  • Donne e consultori a Nordest. Una conquista delle donne da non disperdere.
  • Biennale femminista.  Per la prima volta in una Biennale d'Arte "le artiste" sono maggioranza.
  • La cartolina. Cara casa, ti scrivo di mobilità sociale.
 
 
LINGUAGGI E DIRITTI
 Dal discorso alla Camera dei Deputati della Presidente del Consiglio:
"Si è fatta polemica su 'il presidente', 'la presidente', non ho mai considerato che la grandezza della libertà delle donne fosse potersi far chiamare capatrena*. Sono punti di vista, priorità diverse". 
*termine inesistente per riferirsi ad una donna capotreno.
 
Ecco, la priorità di Giorgia Meloni è farsi chiamare IL PRESIDENTE, la grandezza della sua libertà come donna (anche come madre e cristiana, forse?) è farsi appellare nello stesso modo con cui sono stati appellati tutti i presidenti maschi che l’hanno preceduta nel ruolo che ora ricopre.
 
La sua preferenza, fortunatamente, non vieta che coloro che lo desiderano usino la forma femminile, come è corretto nella lingua italiana. Riporto la dichiarazione del maggio 2008 di Nicoletta Maraschio, prima donna eletta presidente dell'Accademia della Crusca, proprio in risposta alla domanda “come vuole essere chiamata?”

"Essere la presidente è una buona soluzione, favorita da forme analoghe di grande diffusione, anche se non del tutto sovrapponibili, come la preside, la cantante, e per di più in diretta continuità, per quanto mi riguarda, con il titolo la vicepresidente che ho avuto a lungo. La lingua italiana consente, in questo caso, una soluzione semplice e per così dire trasparente e naturale di un problema, quello del riassestamento maschile-femminile nei nomi professionali; bastano infatti l'articolo (maschile o femminile) e l'eventuale accordo (una presidente impegnata / un presidente impegnato) a definire, insieme, il genere e la funzione. Simile il caso dei nomi in -ista (da ciclista a giornalista) non a caso sempre più diffusi perché hanno il vantaggio di fare sistema coi nomi in -ismo e di essere presenti in molte lingue".
 
La scelta di Giorgia Meloni è indicativa di un atteggiamento, è una presa di posizione esplicita, che vuole ristabilire una chiara gerarchia. Perché rifiutare una funzione declinata al femminile, dopo che da anni ci siamo abituate/i al (criticatissimo) ministra (si diceva: “perché suona male”) o sindaca (si diceva: “allora perché non diciamo ‘dentisto?”)? Forse per prendere le distanze dalle donne che orgogliosamente hanno usato la forma femminile, e che lo hanno fatto anche per rivendicare il nostro diritto  a ricoprire qualunque ruolo. Mala tempora currunt.
 
Però c’è anche una buona notizia, e ci riguarda da vicino: il Comune di Padova si è dotato di Linee Guida per il Linguaggio di Genere ad uso del personale dell’amministrazione comunale. Nel 2022 ho partecipato ad un gruppo di lavoro con Costanza Padova e Caterina Suitner, la quale ha lavorato anche per le linee guida dell’Università di Padova. Lo scopo che il Comune di Padova ha condiviso col gruppo di lavoro era “da un lato rappresentare efficacemente la realtà sociale, che vede una crescente presenza delle donne in ambiti pubblici e in posizioni di alto status; dall’altro contribuire a ridurre le forme di discriminazione e segregazione di genere ancora presenti nella nostra società, tramite un linguaggio rispettoso e rappresentativo delle differenze di genere. Infatti tramite la lingua, più o meno consapevolmente, possiamo veicolare e rinforzare stereotipi, asimmetrie e pregiudizi, ma anche trasmettere rispetto per le differenze e inclusività” (Linee guida per il linguaggio di genere nel comune di Padova, 2022).
E’ stato prodotto un fascicolo che spiega i modi in cui il linguaggio contribuisce alla discriminazione di genere e genera forme di sessismo; inoltre indica quali strategie adottare a livello grammaticale e a livello semantico per evitare di veicolare stereotipi di genere. Infine, allo scopo di dimostrare come l’adozione del linguaggio di genere faccia un servizio alla crescita sociale e civile della comunità, nel rispetto delle regole della lingua italiana fornisce un ampio ventaglio di esempi di riscrittura di testi adottati attualmente dal comune di Padova per rivolgersi alle cittadine e ai cittadini (bandi, moduli, etc.) o in documenti ad uso interno dell’amministrazione.
Ne riporto un paio. 
Testo in uso prima delle linee guida:
REQUISITO DELLA CITTADINANZA ITALIANA. Sono equiparati ai cittadini italiani gli italiani non appartenenti alla Repubblica e i cittadini della Repubblica di San Marino…..
Testo che adotta le linee guida:
REQUISITO DELLA CITTADINANZA ITALIANA. Le persone italiane non appartenenti alla Repubblica e le persone con cittadinanza della Repubblica di San Marino
 
Un altro esempio:
Testo in uso: Allegare copia del documento di identità del delegante e del delegato.
Testo che adotta le linee guida: Allegare copia del documento di identità della persona delegante e della persona delegata.
 
Spero di fare una cosa utile proponendo una lista di parole frequenti nei testi del Comune riportando accanto alla forma maschile, quella femminile e, ove possibile, una espressione neutra riguardo al genere.
  • amministratore; amministratrice; l’amministrazione / chi amministra
  • assessore; assessora; l’assessorato
  • beneficiario; beneficiaria; la persona che beneficia / chi beneficia
  • candidato; candidata; la persona candidata / chi ha presentato la propria candidatura
  • cittadino; cittadina; la cittadinanza / la comunità cittadina senza
  • redattore; redattrice; la Redazione
  • il responsabile; la responsabile; chi ricopre il ruolo di responsabile
  • revisore; revisora
  • segretario; segretaria; la Segreteria
  • il titolare; la titolare; chi è titolare di…
 
Chiara Levorato

 

Donne e consultori a Nordest, una conquista da non disperdere.

 


Presentata a Padova la ricerca ‘Il corpo mi appartiene’,
monografia della rivista di storia contemporanea Venetica.

Nuova iniziativa alla fornace Carotta del Comitato per la storia e la memoria dei movimenti delle donne
 
I consultori sono in pericolo. A quasi mezzo secolo dall’istituzione dei consultori familiari (la legge nazionale di riferimento è la n. 405 del 29 luglio 1975, la prima legge veneta istitutiva è la n. 57 del 1975, la disciplina organica regionale è la legge n. 28 del 25 marzo 1977) crescono i bisogni delle donne, dei minori, delle famiglie, dei soggetti vulnerabili, mentre diminuisce l’offerta di sedi e servizi. A fare il punto su un servizio cardine del sistema sociosanitario, frutto delle lotte femminili e femministe degli anni ’60 e ’70, è stato il convegno promosso dal costituendo Comitato per la storia dei movimenti femminili e delle donne a Padova – coordinato da Lucia Basso, prima consigliera regionale di parità del Veneto - per presentare l’ultimo numero di Venetica “Il corpo mi appartiene – Donne e consultori a Nordest”. La rivista di storia contemporanea, diretta da Mario Isnenghi, ha dedicato un numero monografico alla ricerca, curata da Alfiero Boschiero e Nadia Olivieri, sulla nascita dei consultori nelle province venete tra anni ‘60 e primi anni ‘80, allargando lo sguardo anche alle realtà trentine e triestine.  La ricerca – illustrata per la parte padovana dalle studiose di storia Franca Cosmai e Liviana Gazzetta - fa parlare storiche e sociologhe di diverse generazioni e dei diversi territori e ripercorre l’evoluzione della cultura femminile e femminista a Nordest attingendo a testimonianze dirette, documenti, storie personali e collettive, evoluzioni legislative.  Sorti inizialmente in forma volontaristica come luoghi di partecipazione, prevenzione e formazione, per iniziative di movimenti e associazioni di donne - o, quelli cattolici, su input della Chiesa e dell’associazionismo cattolico -, i consultori familiari sono stati strutturati in seguito all’interno del servizio sociosanitario nazionale e regionale, essenzialmente come luoghi di accesso all’interruzione volontaria della gravidanza.
 
“Oggi molte prestazioni vengono erogate a pagamento – è stato il grido di allarme lanciato da Anny Tormene, già ginecologa dei servizi consultoriali a Padova - L’accesso diretto non c’è più, i consultori hanno pochi fondi e non hanno operatività di struttura autonoma. Rispetto a quanto previsto dalla legge istitutiva sono venute meno le capacità di fare prevenzione, di fare educazione sessuale, di promuovere il benessere delle donne e delle persone”.
 
“C’è il rischio di perdere la memoria di quanto è stato fatto e delle conquiste raggiunte dalle donne che ci hanno preceduto”, ha avvertito l’assessora alle politiche sociali e alle pari opportunità del Comune di Padova Margherita Colonnello. La ricerca di Venetica aiuta a non disperdere la memoria di una stagione ‘gloriosa’ del femminismo e dell’impegno sociale delle donne, ha sottolineato Annalisa Oboe, direttrice del Centro di Ateneo Elena Cornaro Piscopia dell’Università di Padova. “In Veneto attualmente c’è un consultorio ogni 50 mila abitanti, per legge dovrebbe essercene uno ogni 20 mila abitanti, con omogeneità di presenza e di servizi a supporto della vita delle donne e del benessere dei giovani e delle famiglie. La nostra regione è agli ultimi posti in Italia per numero di sedi, organico e servizi offerti”, ha ricordato la consigliera regionale Elena Ostanel, consigliera regionale del gruppo Il Veneto che vogliamo, che si è fatta promotrice in Regione di una campagna di sorveglianza e di monitoraggio sul futuro di queste strutture.
 
I consultori sono una pagina innovativa frutto del protagonismo delle donne e dei loro movimenti, nati da istanze pre-politiche. E oggi cosa sono diventati?” si è chiesta Anna Scattigno, docente di storia all’università di Firenze.
 
“I consultori chiusi sono violenza sulle donne”, ha concluso Alessandra Stivali della Cgil-Funzione pubblica che, numeri alla mano, ha fotografato il progressivo smantellamento dei servizi consultoriali nelle Asl del Veneto. “La politica e la società deve decidere se questi servizi devono sopravvivere come ambulatori ginecologici sanitarizzati, o se devono recuperare la loro funzione e natura sociale, con una mission allargata ai bisogni delle donne, dell’infanzia e dell’adolescenza, delle famiglie e della terza età”.
 
Lucia Basso


 


Biennale femminista


 
 A breve, il 27 novembre, si chiude la 59. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Facendo il verso alle famose parole della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie “Perché dovremmo essere tutti femministi”, cercherò di spiegare brevemente perché è una mostra femminista e, va da da sé, sarebbe bello se tuttə potessimo vederla. La prima motivazione è la meno importante. La seconda è quella che conta davvero.
1. Per la prima volta nella storia delle Biennali d’Arte più dell'80 per cento dei nomi invitati a partecipare è donna, o appartenente a un genere non binario. Cioè, detto all’inverso, gli uomini sono in minoranza. (Non era mai successo prima). 
2. Questa mostra sperimenta una nuova visione del mondo, non più dominata dalla supremazia umana. Umana, dico, non maschile. L’uomo – sottinteso un solo tipo di “uomo”, che, guarda caso, è maschio e bianco - non è più centro dell’universo, misura di tutte le cose, ma è solo un essere in trasformazione, chiamato a definire il suo spazio in un pianeta che lo ospita e di cui deve prendersi cura. 
«Come sta cambiando la definizione di umano? Come si definisce la vita e quali sono le differenze che separano l’animale, il vegetale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, di altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi?»
Da queste domande è partita Cecilia Alemanni, la curatrice della Mostra, ispirandosi alle parole della filosofa Rosi Braidotti, teorica del post-umano, che vede nella teoria femminista, di genere e LGBTQ+, un’istanza volta a promuovere il cambiamento e la metamorfosi.
«Nei loro sforzi per riflettere fuori dalla logica patriarcale e dalla violenza fallocentrica – afferma la filosofa in un saggio nel catalogo della mostra - le femministe sono state tra le prime a teorizzare un cambiamento qualitativo post-umano basato sul continuum tra gli attori umani e non umani del cambiamento». Critica della concezione antropocentrica dell’umano, universalistica e negativa, Rosi Braidotti prefigura una comunità fondata sul riconoscimento compassionevole dell'interdipendenza con molteplici altri esseri non umani.
 “Il latte dei sogni”, suggestivo titolo della mostra, è ripreso invece da un libro di fiabe dell’artista Leonora Carrington (1917-2011), pittrice e scrittrice surrealista sempre in fuga dalle costrizioni di un’identità fissa e coerente. Le sue storie oniriche immaginano un mondo libero e pieno di infinite possibilità, come appunto le opere in mostra. Di sé disse che, sebbene attirata dalle idee dei surrealisti, preferiva essere identificata come femminista. 
Costretta a vivere da esiliata, alla domanda in quale epoca storica le sarebbe piaciuto vivere, rispose: “Quasi nessuna o forse sì. C’è un momento storico che mi piace. Per esempio la Caduta del Patriarcato che accadrà nel XXI secolo”. Viene in mente la Caduta del Muro di Berlino. Ecco, questa Biennale è già al di là del Muro. Non solo: che lo voglia o meno il governo in carica nel nostro e in altri paesi, è in questo secolo che stiamo vivendo. 

Adriana Ferrarini

 

 
DALLA REDAZIONE
Hanno collaborato a questo numero:

Andreea Andrei
Lucia Basso
Elianda Cazzorla
Adriana Ferrarini
Ornella Fortuna
Chiara Levorato
Anna Lucia Pizzati
Gianna Pia Tucci


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