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“Come ferite che non nascondo Storie di andate senza ritorno Storie tatuate di amori e lividi”
Negrita (2018)

Nuovi giochi autolesionistici spopolano su TikTok: le “cicatrici francesi” e quel vuoto che scuola e famiglia non riescono a colmare
(Foto Ansa)
  • In Europa, pratica l’autolesionismo circa il 17,2% degli adolescenti, il 13,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 13,5% degli adulti
  • Dal 2020 al 2021 il numero degli adolescenti che mette in atto azioni autolesioniste è aumentato del 10%
È la nuova inquietante moda che spopola su TikTok: pizzicare forte la guancia, esercitando una torsione sulla pelle in modo da lasciare una cicatrice. Sono le “cicatrici francesi” e TikTok trasmette video in massa di adolescenti che spiegano come far comparire quei segni. In questi tutorial i giovani si riprendono, orgogliosi di veder apparire sul loro viso un segno rosso. Non un caso isolato, ma un ingestibile effetto virale. Tra le centinaia di migliaia di persone che hanno visto e provato questo intrattenimento ci sono ragazzi tra i dieci e i quattrodici anni, e in Francia, dove è nato il fenomeno, si parla anche di studenti universitari.
“All’inizio fa un po’ male, ma poi non senti più nulla.”
“All’inizio fa un po’ male – racconta a Le Parisien una delle prime ragazze ad aver aderito alla sfida – la guancia si gonfia, ma poi non senti più nulla. Ai miei ho detto di aver preso un colpo accidentale, altrimenti mi avrebbero rimproverata. Nel giro di quattro giorni è scomparso tutto”. La tecnica vuole riproporre antichi segni tribali che testimoniano un combattimento. Segnarsi il viso significa dire: ho lottato, sono un guerriero. Non sempre va tutto bene. Come riportano alcuni dermatologi, a volte la cicatrice rischia di dover essere eliminata attraverso un trattamento laser.
(Foto account TikTok @hugodecrypte e @Craschy!)
“Sono problematiche che mettono in crisi una genitorialità spesso concepita in maniera prestazionale”.
Il fenomeno è già arrivato anche in Italia e rappresenta solo l’ultima di una serie di sfide estreme che l’App cinese tende solo ad amplificare. Il lancio in piscina da un balcone, i selfie fatti in prossimità di un dirupo o di un treno in corsa, sino al più violento l’Hanging Challenge: stringersi la gola e resistere il più possibile senza aria. La maggior parte delle volte questi campionati di autolesionismo, perché di questo si tratta, non lasciano solo un segno fisico ma denotano un problema più profondo e radicato che spesso le famiglie e la società non vogliono capire o non hanno gli strumenti per farlo.
(Foto Associazione Kayròs)

Per approfondire il tema abbiamo chiesto un parere ad Antonella Marchetti, professore ordinario di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’educazione presso l’Università del Sacro Cuore e a don Claudio Burgio, cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano, presidente dell’Associazione Kayrós. 
“È la manifestazione nel corpo di un disagio connesso alla impossibilità di gestire emozioni negative – dice la Marchetti – che denota la sfiducia da parte dei ragazzi e delle ragazze di poter reperire un ‘contenitore’ esterno alle proprie angosce”. Don Burgio inquadra il problema dal punto esperienziale: “Sono ragazzi alla ricerca continua di emozioni forti. Tutto nasce da un vuoto esistenziale sempre più profondo che fa percepire la vita come noia, depressione, dalle quali distaccarsi e distrarsi”.

“La scuola è percepita come il tempio della prestazione, del voto.”

Il fenomeno allarma scuole e famiglie che già da anni devono affrontare i crescenti casi di autolesionismo tra i ragazzi. “Sono problematiche che mettono in crisi una genitorialità spesso concepita in maniera prestazionale – continua la Marchetti – aprendo una ferita narcisistica proprio nei genitori”. Don Burgio vede nella troppa presenza della famiglia o nella totale assenza uno dei problemi. “Quando la famiglia è troppo presente, i ragazzi rifuggono un luogo che vuole decidere per loro, evitando anche che facciano sacrifici. Si rifugiano così sui social o fuori casa”. E la scuola?
“Se caratterizzata dalla dimensione della fiducia – dice la Marchetti – la relazione con l’insegnante può offrire, sia nelle situazioni di sviluppo tipico sia in quelle di sviluppo a rischio o cliniche, un enorme fattore di protezione e di intervento”. Don Claudio ritorno sul vuoto esistenziale: “La scuola è percepita come il tempio della performance, del voto. Un luogo che aggiunge ansia da prestazione, stress emotivo, non aiutando e meno che mai risolvendo questo vuoto esistenziale dei ragazzi. Anzi lo amplifica. Il rapporto tra famiglia e scuola andrebbe ripensato. Non è semplice, queste due realtà molto spesso non collaborano anzi si combattono”. 

(Foto LaPresse)
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A cura di Mario Leone e Carlo Carù, ha collaborato Margherita Giambi
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