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Spotify ante litteram

Ciao e benvenut* all'edizione numero 141 di Dylarama, l'appuntamento a cura di Siamomine, che ogni sabato raccoglie una selezione di link, storie e notizie su un tema che ha a che fare con tecnologia, scienza, comunicazione, lavoro creativo e culturale.
 
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Questa settimana parliamo di Mixed by Erri, di riti psichedelici e di dipendenza da internet

Su cheFare, Giovanni Maria Riccio, firma una riflessione su Mixed by Erri, raccontando suoi aneddoti personali molto interessanti:

«La prima volta che ho incontrato Enrico “Erry” Frattasio, mi ha detto con un sorriso dolce: “Professò, io sono un algoritmo vivente”. Enrico ha ragione e questo è il primo motivo di meraviglia per chi si accosta a questa storia: le cassette vergini duravano più degli LP e, allora, Enrico ha un’idea, a suo modo geniale, quella di riempire i vuoti con brani di artisti simili. Compro una musicassetta contraffatta dei Bee Gees e, alla fine, anziché sentire il ronzio del nastro vuoto, partono tre o quattro canzoni degli ABBA. È probabile – questo il ragionamento che fanno Enrico e i suoi fratelli – che, se mi piacciono i Bee Gees, mi potrebbero piacere anche gli ABBA. E, se gli ABBA davvero mi dovessero piacere, è probabile che tornerò per acquistare anche la loro musicassetta. Al termine dell’album degli ABBA, forse ci saranno dei brani di Elton John e, se mi dovesse piacere anche questo artista, prenderò anche la sua musicassetta e così via, fino (quasi) all’infinito.»

Internet è la più grande dipendenza del secolo? Su Rivista Studio un articolo di Davide Coppo che parla dei tentativi di disintossicarsi:

«Mi sveglio alle otto di mattina, e l’istinto di aprire Instagram è forte. Il telefono è sul comodino sopra la pila di libri, e penso che dovrei prendermi una sveglia analogica, ma non l’ho ancora fatto. Resisto: spengo l’allarme e metto giù il telefono. Devo pensare a lungo a ogni gesto da fare, come se fossi rallentato, o sotto l’effetto di una droga: è perché da un po’ di settimane sto cercando di disintossicarmi dai social e dallo smartphone, e se lascio che sia l’automatismo del mio cervello a decidere i movimenti, ci ricadrei subito. Porto lo smartphone con me in bagno, per fare la doccia. Lo appoggio sul piano del lavandino, accendo l’acqua, aspetto che si scaldi, e lo riprendo in mano un attimo, solo per togliere la modalità sonno, mi dico. Mi dico anche: devo solo mandare un Whatsapp alla mia ragazza, per salutarla. Ma il pollice va automaticamente sull’icona di Telegram, dove c’è il pallino rosso dei messaggi non letti. Mi domino, all’ultimo istante.»

Su Big Think è uscito un approfondimento che racconta le origini psichedeliche dei riti indigeni, che erano davvero una roba niente male:

«Il più noto psichedelico africano, Tabernanthe iboga , è un arbusto che cresce fino a circa quattro piedi (1,2 m). Le sue radici sono ricche di alcaloide ibogaina, un composto con il potenziale per alleviare una serie di condizioni neuropsichiatriche. Tradizionalmente, il culto Bwiti del Gabon ha consumato l'iboga per entrare nel regno dei morti come parte di un'intensa iniziazione visionaria che può durare per giorni. Le leggende del popolo Fang collocano la scoperta dell'iboga nella foresta primordiale, secoli o addirittura millenni nel passato non scritto.»
 

Per questa settimana è tutto, Dylarama torna sabato prossimo!

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