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Benvenuti, questo è il numero cinquantanove di MEDUSA, una newsletter bisettimanale a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not

MEDUSA parla di Antropocene, dell
impronta dellessere umano sulla Terra, di cambiamenti climatici e culturali. Storie dalla fine del mondo per come lo conosciamo, ogni due mercoledì.

MEDUSA è divisa in tre parti: un articolo inedito e due rubriche, i link dei Cubetti e i numeri della Cabala. Per il resto, se volete scriverci potete rispondere direttamente a questa email o segnarvi il nostro indirizzo: medusa.reply@gmail.com. Siamo anche su Instagram.


In questo numero leggerete di bombe e iridescenze, di soia e vuoti di memoria, di Amazon e Amazzonia, di record e registrazioni.
MEDUSA • FOSFENI
di Nicolò Porcelluzzi
 
Leggendo L’Italia sotto le bombe, di Marco Patricelli, un saggio sulla guerra aerea del 1940-45, imparo che per bombardare una città i piloti devono sincronizzare gli orologi. Poco dopo le 13 del 7 aprile del 1944 la città di Treviso viene bombardata da un centinaio di B-17 decollati da Lecce. Muoiono quasi duemila persone.
 
Andrea Zanzotto, il poeta del Novecento italiano e veneto, all'epoca aveva ventidue anni. Era nato poco lontano e avrebbe iniziato a pubblicare le sue poesie a guerra ormai conclusa. Nelle sue prime raccolte la presenza dell’essere umano sarebbe stata cancellata dal fondale, e con l'uomo il peso degli incidenti storici: “era un riflesso psicologico alle devastazioni della guerra”.

Zanzotto lo ripete negli anni, la poesia è l’unico vero insediamento dell’essere umano, dove si mantiene vivo “il ricordo di un tempo proiettato verso il futuro semplice – banale forse, ma necessario – della speranza”. Interrogando il poeta insistiamo nella ricerca di una direzione, quella che lui chiama “la parte più ignea della realtà”, il senso del tempo che passa; lo facciamo anche guidando, lo facciamo a lavoro o in famiglia, ma questo sfugge e s’inalbera, in mano resta poco o niente.
 
La poesia allora. Leggila con calma, magari ad alta voce. Ne pubblico solo un estratto perché non abbiamo tempo, giusto?
 
Ma con queste falcate collinari andrò
fino ai primi rapporti con ghiacci senza fine
con vertigini infidamente divinatrici
predicando ogni non-religione
ogni conversione oppure conversazione,
non predicando, non predicando, cadendo ne andrò.

 
La raccolta da cui è tratta si chiama Fosfeni, come le macchie del campo visivo, quelle iridescenze che annunciano l’emicrania. “Fosfeni” è una parola che si è inventato J.B.H. Savigny, chirurgo di bordo della nave Medusa, la fregata da cui si staccò la zattera del dipinto di Géricault.

 
Fosfeni è anche un titolo comodo per tempi arrotolati come questi, dove i ricordi si confondono e l’informazione succhia l’aria. Due anni fa citavamo Il senso del tempo, un saggio di Gianluca Ligi che raccontava i “regni interlacustri [tra] Rwanda, Burundi, Uganda settentrionale e Tanzania Occidentale” dove vivono diverse popolazioni che nel passato pre-coloniale affrontavano il delicato passaggio di consegne tra un monarca e il successivo con la stessa procedura. Alla morte di ogni sovrano, veniva spostata la capitale. Fisicamente, nello spazio. “I siti dove sorgevano le precedenti capitali, segnati spesso da boschetti di alberi mitoma, riproducono nello spazio un itinerario che è la rappresentazione geografica di un processo storico”. 

Il potere “produce azione storiografica che si esplica nello Spazio”, incidendo nella memoria collettiva delle popolazioni un senso di linearità nel tempo. In un colpo d’occhio, il passare del tempo: l’Occidente lo incide nella parola, altre culture nella geografia.
 
La parola degli ultimi anni sembra avere rotto il senso del tempo, la sua direzione.
 
Zanzotto è morto il 18 ottobre 2011, nella terra che ha sempre vissuto, all’inizio di un decennio che iniziava a traboccare e spandere, dalla primavera araba alla morte di Steve Jobs, l’imprenditore cristologico, e se è vero che la linearità del tempo è una suggestione occidentale è anche vero che Zanzotto, tu e io siamo nati qui, e qui nel tempo lineare andiamo a passeggio.
 
Tu meno esperto che quando l’uccello fa il nido
ed è troppo ingegnere
meno efficiente di quando
l’acqua fa la chioccia e
sistema sabbie a manipoli
 
Valore d’uso e di scambio
quanto può esservene rasoterra e rasoombra
quanto tra le pelurie di una cinerina quaresima
Incerto utensile bene d’uso incerto
incautamente qua e là connesso
a una mano a un piede che scansa che scambia
 
Come a incanti di bosco si agganciano ora, ora – e si staccano steli – dopo dopo
e s’incrociano nella brezza
della prima luce sulle piste
 
Tu povero tra tutti i poveri, leso tra tutti i lesi
incrocio di valenze, istanti, tesi                 effimere –
code di rondini, per siepi, appena intraviste
 
e vuoti di memoria, falle, cascatelle trattenute da un dito

 
Utøya e il taglio
Gli incanti di bosco, il leso tra i lesi, gli istanti e vuoti di memoria, le cascatelle trattenute mi portano a un altro giorno del 2011, il 22 luglio, quando in un paio d’ore si è concluso un attentato che – non c’è tempo! – dev’essere ancora metabolizzato e decomposto.
 
La cosiddetta strage di Utøya è stata rimossa dalla memoria condivisa a una velocità grottesca. Anders Breivik, un uomo di 32 anni (i terroristi hanno tra i venti e i quarant’anni, l’età in cui non si riesce a diventare adulti) ha ucciso con le sue mani 69 ragazzi in età scolastica iscritti all’organizzazione giovanile del Partito Laburista Norvegese.
 
Nel suo 2083 – Una dichiarazione europea d'indipendenza Breivik si definisce anti-multiculturalista, anti-marxista, anti-islamico. Non c’è tempo, bisogna riassumere: all'alba del decennio dei nazionalismi di destra, un uomo bianco radicalizzato su Google ha ucciso 69 ragazzi che volevano educarsi ai principi di un partito social-democratico.

 

Rendering di un futuro mai realizzato.

Gli incanti di bosco, gli istanti e i vuoti di memoria, le cascatelle trattenute sembrano descrivere quel monumento ai caduti di Utøya che doveva essere e non è mai stato. Era stata proposta una fenditura incisa nel promontorio che si affaccia sull’isola, una passeggiata che portava a un tunnel affacciato al canale d’acqua che si andava creando, e dall’altra parte del canale i nomi dei caduti, incisi nel paesaggio. Il progetto di Jonas Dahlberg, che aveva convinto tutta la giuria, prevedeva di riciclare la terra e gli alberi rimossi dal taglio per allestire un altro memoriale nel centro di Oslo, dove un’autobomba abbandonata da Breivik aveva ucciso altre otto persone.
 
Poi “circa venti persone, tra cui uomini e donne che salvarono la vita ad alcuni ragazzi durante l’attacco all’isola, hanno fatto causa allo Stato per sospendere il progetto, descrivendolo come uno ‘stupro della natura’ che danneggerebbe il paesaggio e la comunità”. Si è parlato di “conseguenze psicosociali e deturpazione del paesaggio”, di rispetto per la memoria degli scomparsi.
 
Neanche il terrorismo e la poesia si possono sottrarre agli inghippi antropologici. L’anno scorso, in un profilo di Zanzotto uscito sul Tascabile, Il poeta dell’Antropocene, Sara Massafra scriveva: “radicato fortemente nella poesia civile impegnata che tenta di ‘connettere l’inconscio della collettività’, Zanzotto è stato uno dei pochi autori contemporanei italiani sensibile al dialogo tra storia e geografia”. 

Ed è lo stesso Zanzotto a precisarlo: “la storia si risolve sempre in tragica e poi sempre meno significativa geografia, lasciando sulla ‘pelle’ della terra i graffi, le tracce dei suoi conflitti o della sua inerzia, che diventano sempre più equivoci con l’andare del tempo. [...] Ogni luogo, oggi divenuto ormai obiettivo militare, somma in se stesso tutte le grafie e i graffiti storico-geografici della militarità/terrore/irrealtà”.  
 
Da Treviso al Rwanda alle isole norvegesi: il terrore e l’irreale si combattono con la presenza.
CUBETTI
#1 IN ANTARTIDE IN MAGLIETTA
Qualche giorno fa al Polo Sud per la prima volta la temperatura registrata ha superato i 20 gradi. È un record, ed è una rilevazione preoccupante, che batte di quasi mezzo grado grado la temperatura più alta mai registrata finora nella regione: 19,8°C nel 1982 contro i 20,27°C dello scorso venerdì alle Seymour Island. Per quanto allarmante, è un dato che di per sé racconta poco (in più, in questo periodo, è estate in quei posti). 

“Non ha significato in termini di andamento del riscaldamento globale, è una temperatura eccezionale che non è parte consistente di qualche set di dati più lungo”, ha detto per esempio Carlos Schaefer, uno degli scienziati del team antartico. "Non possiamo usarlo per anticipare i cambiamenti climatici nel prossimo futuro. È solo un punto", ha detto. Ma, certo, "è un segnale che sta accadendo qualcosa di diverso in quella zona."

Sono precisazioni noiose, ma dare questa notizia in maniera diversa, senza aggiungere queste postille – com’è invece stato fatto anche questa volta da molti giornali, che hanno semplificato o cercato sensazionalismi nei titoli –, può essere controproducente anche quando in buona fede, e può offrire il fianco ai negazionismi che ora pure in Italia stanno nascendo. Ve la ricordate, dopotutto, la storia dell’orso polare?

#2 LA CINA SI MANGIA IL BRASILE
Più degli incendi, poté la fame: la foresta amazzonica viene distrutta ogni giorno dal mercato mondiale di soia e carne bovina. In entrambi in casi, il principale investitore è la Cina.

Come ricordano Melissa Chan e Heriberto Araùjo nel loro reportage dal Mato Grosso, la soia è uno dei pochi punti deboli della Repubblica Popolare Cinese. Trattandosi della prima voce nella lista delle importazioni, la strategia del governo cinese consiste nell’investire direttamente nelle catene di fornitura brasiliane con l’obiettivo di espanderle secondo i propri bisogni: così si spiega la solerzia con cui le autorità brasiliane procedono alla deforestazione di pezzi di Amazzonia.  


La soia nutre gli animali di cui vuole cibarsi la classe media cinese: i bisogni di un paese di un miliardo e mezzo di abitanti, bisogni comprensibili, hanno ovviamente un effetto devastante sul bilancio delle emissioni di CO2 a livello globale. 

Bolsonaro, eletto anche grazie alla lobby dell'industria agricola, non può che andare incontro alla volontà cinese. Se consideri la biosfera una risorsa economica, e nient'altro, non sarà difficile abrogare le leggi per la tutela ambientale, distruggere il Ministero dell'Ambiente dall'interno, combattere con le popolazioni che abitano quelle terre da millenni.

#3 VAI AL CARRELLO
La notizia, in breve: Jeff Bezos, il capo dell'azienda che vende tutto, la stessa azienda che ha una carbon footprint praticamente incalcolabile, lo stesso Bezos che non ha mai dimostrato nessun interesse – sincero o ipocrita – rispetto ai danni inflitti dalla sua creatura, specie in termini ecologici, Bezos ha dichiarato che stanzierà 10 miliardi di dollari in una fondazione che unirà nell'azione collettiva “big companies, small companies, nation states, global organizations, and individuals”.

L'intreccio di mani sporche che lavandosi si insozzano è un argomento che seguiamo da tempo nella nostra newsletter, ed è un motore perpetuo di riflessioni e dibattiti, anche interni. Il mondo sembra andare in questa direzione, quella di un futuro riscritto dai miliardari di Munchausen, che provano a tirarsi fuori dalle sabbie mobili tirandosi i capelli. 

Una frazione dei dipendenti di Amazon hanno reagito immediatamente alla notizia:

“Quando smetterà Amazon di aiutare le corporation petrolifere a devastare la Terra con altri pozzi e gasdotti? Quando smetterà di finanziare dei think tank di negazionisti climatici? Quando si prenderà la responsabilità per i polmoni dei bambini che vivono accanto ai loro magazzini?”. Una nostra stima prudente è: tra molti anni, probabilmente mai.

#4 SUONI DALLA FINE DEL MONDO
Un ultimo Cubetto per segnalarvi che stiamo continuando l’esperimento mensile di MEDUSA SONORA, il nostro spazio caotico nell’altrimenti scintillante programmazione di Radio Raheem. In buona sostanza MEDUSA SONORA è una sorta di CUBETTO audio: una volta al mese invitiamo qualche ospite per parlare di temi connessi a MEDUSA (emergenza climatica, letteratura, Antropocene, natura, animali, futuro del pianeta).

L’ospite sceglie la scaletta, le canzoni, le cose di cui parlare, noi balbettiamo, ogni tanto diciamo una fesseria, aggiungiamo qualche silenzio molto poco radiofonico. Ma, insomma, per ora il formato funziona e ci sta dando tante soddisfazioni, soprattutto grazie alle belle voci che siamo riusciti a coinvolgere, e che ringraziamo di nuovo: Enrico Monacelli, Ludovica Lugli, Andrea Zanni. L’ultima ospite è stata Simona Squadrito, di Kabul Magazine (che se ancora non conoscete, vi consigliamo di seguire). A marzo torniamo con Fabio Deotto, scrittore e giornalista (di cui a settembre vi avevamo segnalato il reportage pubblicato su Esquire).
CABALA
L’Antartide è stata l’ultima regione della Terra a essere scoperta: prima del 1820 avevamo solo un vago sospetto circa la sua esistenza.

Con una densità di 0.00008 persone (quasi tutti scienziati) per chilometro quadrato, è il continente meno abitato del pianeta.

7 nazioni rivendicano diritti territoriali sui territori antartici.

Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 413,64 ppm (parti per milione) di CO2.
E questo è tutto: tra due mercoledì, la prossima edizione di MEDUSA.

 
2020 © DE GIULI - PORCELLUZZI 






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